mercoledì 11 gennaio 2012

Giorgio Agamben

Giorgio Agamben, Che cos’è un dispositivo? (nottetempo)
Microlibro di 35 pagine piccole e scritte in grande, rilegatura con due graffette tipo quaderno che con una microspesa (euri 3) potrebbe anche portare qualche grande risultato. Se non ci fosse il fatto che questo tipo di saggistica secondo me in generale rischia di dare risultati molto più poveri di quel che si vorrebbe sperare.
Cioè in questo caso quelli che sguazzano felici nei dispositivi, i dispositivi come li intende Michel Foucault e che impestano la nostra vita di tutti i giorni, prima di tutto gli sguazzanti il libricino non lo leggeranno mai, e poi anche se lo leggono tanto non capiscono niente e continueranno a rivoltarsi nel loro letamaio. E quelli che nell’impestamento dei dispositivi ci stanno male, le cose che dice Agamben le sapevano già, almeno intuitivamente, e il suo scritto fa piacere, ma sostanzialmente anche per loro cambia poco.
Cambia poco ma qualcosa cambia perché Agamben rivede in parte il concetto di dispositivo di Foucault e lo allarga alle condizioni della vita odierna, esplose in pochissimi anni in un modo che Foucault non si poteva nemmeno immaginare, con una bella riflessione sul rapporto tra i dispositivi e la disseminazione di false identità personali, che potrebbe rimandare anche al pensiero di René Girard nonché alle delizie del social networking.
Quindi alla fine il microlibro anche se non cambia la vita a nessuno, qualche pensiero in più lo fa fare, e qualche bel pensiero in più non è una cosa da poco, specie se ci aiuta a riconoscere sempre meglio i modi di funzionamento della società disciplinare in cui ci tocca di vivere.
Tenendo sempre presente che Herbert Marcuse dice che ogni liberazione dipende dalla coscienza della servitù. (bamborino)

A pag. 22 c’è computers, col suo bel plurale.
La vita, vedete, non è né così bella né così brutta come si crede. (Guy de Maupassant, Una vita)

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