mercoledì 4 gennaio 2012

Harold A. Innis

Harold Adams Innis,
Empire and Communications. (Rowman & Littlefield)
Impero e comunicazioni. (Meltemi)
Quando è arrivato il momento storico in cui i mezzi di comunicazione hanno assunto un’importanza tale da superare l’importanza dei mezzi di produzione e da sostituirsi in un certo senso alla realtà, si è prontamente e ineluttabilmente presentata in alcuni cervelli geniali l’idea di inserirli tra i mezzi di interpretazione di questa realtà, e di valutarne e mostrarne il peso nel corso di tutta la storia dell’umanità.
Il primo è stato Harold Innis, con questo libro di storia. E quasi contemporaneamente è arrivato anche Marshall McLuhan, con La sposa meccanica, che si può considerare un libro di critica sociale.
Ma in realtà Harold Innis non ha scritto solo una storia dei mezzi di comunicazione, ma una storia della tecnologia, e come dice McLuhan in Gli strumenti del comunicare, poiché la nuova tecnologia elettrica non è soltanto un’estensione del nostro corpo ma del nostro sistema nervoso centrale, ci troviamo ora nella condizione di poter considerare meglio come tutte le tecnologie, linguaggio compreso, siano dei mezzi per elaborare esperienze oltre che per immagazzinare ed elaborare informazioni. E per muovere la Storia.
Ed è stato appunto quando sono esplose le tecnologie di comunicazione e di elaborazione delle informazioni, portando al suo pieno sviluppo il processo che era iniziato nel 1844 con l’invenzione del telegrafo, che è stato possibile operare una frattura con la visione storica del marxismo, che bene o male nel dare la preminenza ai mezzi di produzione aveva impregnato e impregna tuttora il pensiero occidentale.
Così nel 1950 arriva l’opera rivoluzionaria di Harold Innis, che non è solo una storia dei mezzi di comunicazione e della tecnologia, ma è una storia dell’evoluzione delle strutture di potere e dei cambiamenti del pensiero umano. C’è un altro grande storico del cambiamento del pensiero umano e delle strutture di potere, Michel Foucault, ma la differenza tra Innis e Foucault è, secondo me, che Foucault rimane sostanzialmente marxista e quindi descrive questo cambiamento con meravigliosa precisione e profondità, ma non arriva a cogliere i processi che sostengono il cambiamento, mentre Innis ce li mostra in tutto il loro dispiegarsi. Così sfugge, a Foucault, che il pensiero di Sigmund Freud, nel suo essere una delle espressioni dei dispositivi di potere e del controllo del sesso attraverso la sua messa in discorso, trova la sua origine nella nascita dell’oralità secondaria, vedi Walter Ong, Oralità e scrittura).
E nell’epoca della disgregazione generale, quando la massa delle conoscenze è diventata tale da non permettere più la costruzione di visioni totali e teleologiche del processo storico, il pensiero geniale di Harold Innis si spinge fino a mostrare l’impossibilità di una visione unificante, mettendo in evidenza come alla base degli sviluppi del pensiero e dell’economia e del comportamento dell’uomo ci sia un insieme molto complesso di fattori, slegati gli uni dagli altri ma ciononostante in rapporto di reciproco influenzamento.
Le tecnologie influiscono sull’economia sul pensiero sul comportamento sulla politica e sull’arte, e il pensiero l’economia il comportamento la politica e l’arte influiranno a loro volta sulle tecnologie, in un rapporto di reciproca ininterrotta modificazione.
Ma poiché come ha detto Humberto Maturana noi, in quanto esseri umani, esistiamo nel linguaggio, cioè il nostro pensiero e la nostra vita si sviluppano in e con un mezzo di comunicazione, e nel linguaggio si sviluppa e si modifica quella parte del nostro pensiero, se così si può dire, che è la coscienza, e poiché i mezzi di comunicazione non sono solo un’estensione del nostro corpo ma del nostro sistema nervoso centrale, l’aspetto più rivoluzionario dello studio di Innis è che egli, attraverso l’osservazione di seimila anni di storia, pone le fondamenta per lo studio non solo dei cambiamenti del pensiero, ma del cambiamento della coscienza.
Partendo dalla scrittura geroglifica dell’Egitto, si passa per i Sumeri e per il cuneiforme, si arriva all’invenzione dell’alfabeto, fino all’invenzione della stampa a caratteri mobili. La scrittura e le tecnologie che l’hanno sostenuta, la pietra l’argilla il papiro la pergamena e la carta.
Le tecnologie della comunicazione e la loro influenza sull’economia e sull’organizzazione sociale, con la storia della nascita e dello sviluppo dei giornali, della loro influenza sulla politica e sulle guerre del Novecento, fino alla radio, la cui improvvisa espansione di comunicazione generò secondo Innis la particolare bestialità selvaggia della Seconda Guerra Mondiale, che egli paragona alla bestialità delle guerre di religione del diciassettesimo secolo, legate all’espansione della stampa.
L’importanza della pubblicità, che ha trasformato i mezzi di comunicazione moderni in una parte del processo di distribuzione delle merci, con l’esito di una meccanizzazione e di un impoverimento generalizzato della parola e del sapere, che diventa disponibile per tutti ma fruibile in realtà da un gruppo sempre più ridotto di persone, con il risultato del sorgere di nuovi ristretti monopoli culturali, paragonabili ai monopoli degli scribi nell’antichità. Visione profetica quest’ultima, di quel che si sta manifestando in pieno adesso con Internet, per cui si rimanda a questo articolo del «New York Times».
Empire and Communications è quindi l’opera seminale che ha dato origine agli studi di Walter Ong, di Marshall McLuhan, di Eric Havelock e di Elizabeth Eisenstein.
Anche questo nuovo aspetto degli studi di storia, probabilmente, si poteva presentare solo in quest’epoca, perché è in quest’epoca che il processo di cambiamento dei mezzi di comunicazione e quindi dei modi del pensiero si è così spaventosamente accelerato da renderlo visibile, per la prima volta nella storia dell’umanità, anche a quelli che ci vivono in mezzo.
Ma è forse proprio in questo punto che si può vedere meglio la genialità di Harold Innis, o forse il livello che ha raggiunto la possibilità umana della coscienza.
Egli scrive infatti, nell’Introduzione, che si era cercato fino a quel momento di svolgere delle riflessioni sull’economia utilizzando strumenti che erano essi stessi un prodotto di queste riflessioni sull’economia. Per esempio, stabilire l’esistenza di una classe di entità denominabili come mezzi di produzione è già di per sé un atto di riflessione sull’economia, così come è un prodotto di questa riflessione anche stabilire l’esistenza di entità chiamate classi sociali. Da cui appunto, aggiungo io, deriva la mentalità marxista, che è un prodotto del particolare modo di svilupparsi e di descriversi dell’economia nell’epoca tipografica.
Che è poi di nuovo il discorso di Humberto Maturana, quando ci spiega che una caratteristica del vivente, vivente ed esistente sempre nel linguaggio come l’essere umano, è la tendenza alla conferma auoreferenziale della propria esistenza, e quindi se vogliamo anche la tendenza all’utilizzo dei modi della conoscenza per la conferma della conoscenza stessa, e che in una spiegazione scientifica la spiegazione di un fenomeno non può essere parte del fenomeno spiegato, come del resto dice anche la teoria dei tipi logici di Russell e Whitehead.
Cioè, il discorso del marxismo è un discorso che tratta non tanto del fenomeno quanto della spiegazione, nel senso che la caduta di una mela è un elemento della classe dei fenomeni, mentre la legge di gravitazione universale è un elemento della classe delle spiegazioni, e bisogna stare attenti a non confondere le due cose.
Che è poi, in un senso solo leggermente diverso, una confusione tra la mappa e il territorio, confusione che oggi è sempre più diffusa anche grazie a Internet, che non si capisce se costituisce una mappa o non stia diventando addirittura il territorio stesso.
Ad esempio, vediamo in quest’epoca come il mondo delle transazioni finanziarie, che può essere considerato una descrizione o una mappa dell’economia, si stia sostituendo all’economia reale e la influenzi profondamente, con i risultati disastrosi che abbiamo sotto gli occhi.
Come ancora salta fuori che noi esistiamo nel linguaggio, se pensiamo a quel che ha detto John Austin, e consideriamo come le valutazioni delle agenzie di rating, che sicuramente fanno parte della classe delle descrizioni, siano in realtà degli atti linguistici performativi, perché nel solo proclamare un declassamento, le agenzie in realtà lo fanno accadere. 
Quindi il problema degli studi che prendevano in considerazione solo l’economia era questa sorta di autoreferenzialità, e solo adesso che l’Epoca Tipografica volge alla fine e ci troviamo sempre più immersi nell’Epoca Elettrica, siamo in grado di spostarci e prendere le distanze da una mentalità che non è più nostra, e siamo in grado di dare spiegazioni che non sono parte del fenomeno.
Ma le riflessioni che possiamo fare partendo dal testo di Innis non si fermano qui.
Infatti egli ci fa osservare che i cambiamenti dei mezzi di comunicazione comportano cambiamenti del pensiero anche nel senso di cambiamenti di ciò a cui si può pensare, come è avvenuto nell’antico Egitto quando alla pietra si è aggiunto il papiro, che permetteva di scrivere un po’ più agevolmente e quindi offriva spazio a osservazioni e commenti su tutte le circostanze dell’esistenza.
A questo punto si può parlare dell’idea fondamentale di Harold Innis, la differenziazione tra i mezzi di comunicazione pesanti, come la pietra e la pergamena, e i mezzi di comunicazione leggeri come il papiro e la carta. I mezzi di comunicazione pesanti pongono un‘enfasi sul tempo e sulla decentralizzazione, mentre i mezzi di comunicazione leggeri pongono un’enfasi sullo spazio e sulla centralizzazione, in rapporto strettissimo con l’organizzazione sociale ed economica delle epoche e degli imperi di cui sono caratteristici e di cui concorrono a costituire la realtà.
Così i mezzi di comunicazione pesanti o leggeri non solo danno di volta in volta maggiore importanza al tempo piuttosto che allo spazio, ma vengono a costituire l’idea del tempo e dello spazio in modi diversi secondo le differenti epoche. Come dire che già adesso il cambiamento dell’idea che abbiamo dello spazio, e soprattutto il cambiamento che ne avranno quelli che adesso sono bambini, si evidenzia nel linguaggio quando diciamo, vado in Internet.
E se teniamo presente che l’idea che abbiamo del tempo e dello spazio e del rapporto della nostra persona con questa idea è essenziale per costruire la coscienza, possiamo vedere che anche la coscienza di sé di coloro che adesso sono bambini, sarà diversa dalla coscienza di sé di coloro che sono nati negli anni Cinquanta. 
Per questo, leggere Empire and Communications ci porterà a fare le nostre riflessioni su quello che sta accadendo adesso che il mezzo di comunicazione è l’istantaneità elettronica e lo spazio che eravamo abituati a conoscere sta praticamente scomparendo, mentre il tempo si sta accelerando, vedi le economie che si occupano e si preoccupano di risultati sempre più a breve termine, fino a scomparire anch’esso nell’istantaneità e nella simultaneità digitale.
Poi ci sono in questo libro due veri gioielli.
Uno, una spiegazione attendibile della straordinaria fioritura del teatro elisabettiano e di Shakespeare, perché proprio lì e proprio in quel momento, con un accostamento di questo fenomeno a quello della fioritura del teatro greco, nel senso che in entrambi i casi ci si trovava in una condizione di particolare tensione tra mezzi di comunicazione, la parola e la scrittura per il teatro greco, e la scrittura amanuense e la tipografia per il teatro elisabettiano.
Due, una spiegazione assolutamente imprevedibile, basata sul rapporto tra la produzione della carta, la stampa, e la circolazione delle idee, del perché la Rivoluzione Francese proprio lì e proprio in quel momento.
Infine, vista la tendenza dei sistemi viventi all’autoconservazione e quindi all’autoreferenzialità, e visto che l’Umanità diventa sempre di più un sistema vivente collettivo (vedi Pierre Teilhard de Chardin, Il posto dell'Uomo nella Natura), ci possiamo porre l’agghiacciante domanda, se adesso che siamo nell’epoca del trionfo dei mezzi di comunicazione sui mezzi di produzione, occupandoci dei mezzi di comunicazione non stiamo facendo ancora studi del tutto autoreferenziali.
Anche se va detto che il sistema per salvarsi dall’autoreferenzialità potrebbe essere quello in corso attualmente, di studiare come hanno fatto Innis Ong McLuhan Havelock e Eisenstein non tanto il punto attuale della storia ma i punti di cambiamento del passato, e da questi trarre idee per valutare quello che succede oggi.
Ma personalmente rimango convinto che il lavoro della conoscenza e della ricerca della verità, anche se ci trovassimo di nuovo nel più lurido pantano di autoreferenzialità, vada comunque fatto.
Primo, perché con il sesso è la cosa più bella della vita, e secondo perché forse questa volta la spiegazione potrebbe non essere parte del fenomeno, perché coloro che studiano la nuova coscienza dell’Epoca Elettrica in realtà sono ancora dotati, almeno in parte, della mentalità libresca dell’Epoca Tipografica, e quindi osservano e spiegano dall’esterno. (bamborino)
Se è vero che Sir Arthur Conan Doyle in Oltre la porta magica, diceva che la vita è troppo breve per leggere gli originali, purché ci siano buone traduzioni, è vero anche che Vittorio Imbriani, non molti anni prima, stigmatizzava certe traduzioni italiane. In questo caso devo dare ragione all’Imbriani e consiglio di leggere il libro in inglese.
L’opportunità della lettura in lingua originale sorge dalla sua notevole difficoltà stilistica, legata alla particolarissima modalità di preparazione e di scrittura di Harold Innis, ben spiegate nella prefazione all’edizione originale. Anche se credo che almeno in parte la particolarità dello stile di Innis venga dalla vastità dell’argomento in esame e dal tipo di osservazione e di studio, assolutamente non specialistico e mai limitato, che lo porta a procedere per affermazioni lapidarie e apparentemente slegate le une dalle altre, come farà poi, ma per una dichiarata presa di posizione, anche Marshall McLuhan.
Per questo la maggior concentrazione e la lentezza richieste dalla lettura in inglese possono essere molto utili per superare le fatiche necessarie, che con la lettura più svelta in italiano possono essere così gravose da mollare il colpo, come è capitato alla mia amica che nel blog si firma Allemanda. E oltretutto la lettura, che in italiano è a dir poco spiacevole, in inglese ha un suo ritmo affascinante, per non dire addirittura musicale.
Inoltre nell’edizione italiana si è effettuata, per superare appunto le difficoltà del testo, una suddivisione in capitoletti molto brevi con tanto di titolo inventato, che secondo me invece di aiutare ad un chiarimento creano un’ulteriore incasinatura della mente del povero lettore, e si è pensato bene (sic) di saperla più lunga di Innis, eliminando la sua Introduzione, che in realtà è il capitolo 1 del testo originale.
Non basta. Nella traduzione italiana si legge “Con i suoi continui straripamenti, il Nilo richiese una coordinazione dei lavori”. Ma Harold Innis comincia così, “The Nile, with its irregularities of overflow, demanded a coordination of effort”.
Ecco.
Noi non crediamo che siano necessarie particolari competenze linguistiche né sopraffine doti intellettive per tradurre una parola facile come irregularities, che anche un analfabeta, a sentirla pronunciare, capirebbe che vuol dire irregolarità.
Non solo.
Che il Nilo non fa inondazioni in continuazione crediamo che lo sappiano tutti e comunque la lettura del primo capitolo del libro chiarisce che proprio l’irregolarità e non la continuità delle inondazioni era uno dei problemi principali dell’Egitto.
Insomma ogni tanto, per fortuna con irregolarità e non con continuità, si rimane proprio a bocca aperta.
E nel capitolo 3 l’”expansion of the sea-rovers (Acheans)” diventa una minaccia, oltretutto senza specificare che i pirati erano gli Achei e sempre nel capitolo 3 si sono eliminate alcune pagine che riguardano l’ebraismo, mentre nell’ultimo capitolo è stata tagliata la parte che riguarda gli sviluppi della finanza.
Nell’edizione Rowman & Littlefield a pag. 84 c’è elegaic invece di elegiac, a pag. 110 abbiamo give invece di given, a pag. 134 c’è Ammanius invece di Ammianus, a pag. 136 influence invece di influenced.
Quello del tempo e dello spazio è il problema centrale della psicologia, della filosofia e direi addirittura di tutta la cultura contemporanea. Generatore di conflitti profondi nella nostra esistenza, esso deve necessariamente venire esaminato più da vicino da ognuno di noi. (Eugène Minkowski, Il tempo vissuto)

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