mercoledì 29 febbraio 2012

Norman G. Finkelstein, David Ray Griffin, Peter Duesberg, Philip K. Dick

Norman G. Finkelstein, L’industria dell’Olocausto. (Rizzoli)
David Ray Griffin, 11 settembre. (Fazi Editore)
Peter Duesberg, Aids. Il virus inventato. (Baldini Castoldi Dalai)
Philip Kindred Dick, La penultima verità. (Urania)
Il libro di Finkelstein è il racconto di un’estorsione colossale, e a parte questo non dice niente di nuovo.
Però parla per esteso di cose che sono state appena accennate, o dette in un modo tale che dirle così è stato come tacerle.
Parla di come la Storia viene riscritta di volta in volta secondo le necessità del momento, e in questo fa venire in mente il 1984 di Orwell, con la differenza che Finkelstein non vuole portarci a cambiare le idee che abbiamo già e, ebreo i cui genitori sono stati entrambi nei lager, non si sogna nemmeno di mettere in discussione avvenimenti noti e indiscutibili, ma ci aiuta a dare alle nostre idee e agli avvenimenti un ordine diverso.
Ed è bello e si legge in fretta e con piacere, cosa quasi incredibile per un libro che è soprattutto un elenco di fatti e di documenti.
Il libro di Griffin invece è tutt’altro che piacevole. Anche qui solo fatti, ma sono fatti che rovinano lo stomaco.
Come sono cadute le torri, belle diritte senza fare una piega, l’abbiamo visto tutti, e lo sappiamo tutti che non hanno trovato le scatole nere degli aerei ma hanno trovato i documenti dei terroristi, di carta ignifuga e indistruttibile, e anche in questo caso i fatti sono stati lì davanti a tutti, ma è andato e va bene così, anche se non si capisce perché, o forse lo si capisce così bene che non c’è nemmeno bisogno di dirselo. Griffin, che è un teologo che ha cominciato a occuparsi dell’argomento quasi controvoglia e poi non ha potuto evitare di scriverci sopra un libro, non fa commenti più di tanto e non prende posizioni moralistiche.
Pone degli interrogativi, cerca di dare delle risposte, ma gli interrogativi e le risposte possibili grondano etica come un corpo ferito gronda sangue.
Ben diversamente, il libro di Duesberg è intriso della presa di posizione etica dell’Autore. Forse perché in questo caso i fatti non sono successi anni o decenni fa e non sono circoscritti in un loro accadere ormai definito, ma sono tuttora in corso, e il loro essere in corso è costato e costa soldi e salute, i soldi di tutti, che anche in questo caso vanno comunque a finire nelle tasche di pochi, e la salute di tanti.
Non si creda di leggere un libro che parla solo dell’AIDS. Questo libro è una grande opera di Storia della Medicina, dalle carenze vitaminiche alla sifilide alla tubercolosi alla poliomielite all’epatite virale C alla legionella fino all’ipotesi virale del cancro, compresa la storia del kuru, la malattia che è servita da modello teorico al maxipasticcio della Mucca Pazza, e del suo inventore, premio Nobel e pedofilo riconosciuto, che amava particolarmente la Nuova Guinea, dove trovava inesistenti cannibali e verissimi bambini da adottare. Il libro è scritto da un virologo famoso, e se ha un difetto, può essere il fatto che forse è godibile nella sua agghiacciante pienezza solo da un medico, e forse per arrivare a muovere gli intestini del lettore nella maniera più stravolgente richiede almeno un minimo di frequentazione dei santuari della ricerca scientifica medica. Ma comunque la massa di fatti documentati e la chiarezza dell’esposizione di Duesberg non possono non arrivare a tutti. I capitoli sono una serie di gironi infernali, e Duesberg prima ci accompagna nella selva di imbrogli e di stupide arroganze di cui è fatta la sapienza medica, e poi ci porta sempre più in profondità nella storia di una beffa efferata, facendoci scoprire che questo non è un caso isolato e fortuito, ma è un episodio colossale inserito nella prassi della cosiddetta Scienza. Oltre che un caso particolare, fra tanti, dello scrivere e riscrivere la Storia attuale, e di come ciò accada attraverso clamori e silenzi, come è stato per la sieropositività di Magic Johnson, fino a quando non ci viene il dubbio paranoico che forse tra i motivi per non voler prendere in considerazione un’origine non infettiva dell’AIDS ci sia non solo il mare di denaro in cui nuota il virus HIV, ma anche l’oceano di soldi del mercato della droga.
Ma come dice Sandro Veronesi nell’introduzione a L’incredibile menzogna di Thierry Meyssan, altro libro importantissimo sui fatti dell’undici settembre, forse a questo punto è il caso di domandarsi, sempre, non se siamo paranoici, ma se siamo abbastanza paranoici. 
Se si parla di paranoia non si può non parlare di delirio, e allora passiamo alla delirante fantascienza del grandissimo Dick, che nel suo libro ci mette tutto, dalle colossali continue riscritture della Storia alla guerra contro un nemico inesistente, alle malattie inventate, in un romanzo bellissimo che oltre a una trama avvincente ci dà anche dei personaggi ben disegnati e pieni di emozioni e di sentimenti da grande scrittore. Perché Dick è veramente un grande, e la sua fantascienza dice solo in un altro modo quello che dicono le sue opere non di genere.
Il romanzo parla di un’umanità che vive per la maggior parte nel sottosuolo, in rifugi angusti e sovrappopolati, impiegata schiavisticamente nella produzione dei plumbei, che sono gli automi che, sulla crosta terrestre, combattono la guerra fra l’oriente comunista e l’occidente democratico. In superficie, solo guerra e devastazione, radiazioni, e terribili malattie batteriche contagiose, come il Morbo del Sacchetto.
Solo che non è vero. La guerra in superficie è finita da quindici anni, e mentre la radioattività svanisce lentamente, chi sta di sopra mantiene in servitù gli uomini del sottosuolo con la somministrazione continua di notizie false, e quando uno dei “formicanti” sale in superficie per procurarsi un pancreas sintetico che salverà la vita a un suo amico, scopre la verità. Ma anche la verità del mondo di sopra, a questo punto, non è più una verità, e tutti, anche all’aria aperta, vivono in una rete di inganni e di soprusi che sembra non potrà mai essere eliminata.
Nel 1964 Herbert Marcuse cominciava L’uomo a una dimensione con queste parole: “La minaccia di una catastrofe atomica, che potrebbe spazzar via la razza umana, non serve nel medesimo tempo a proteggere le stesse forze che perpetuano tale pericolo?”. La paura della bomba atomica adesso in un certo senso non c’è più, ma senza paura e senza guerra evidentemente non si può stare. Guerra ai microbi e guerra al terrorismo. Anche il libro di Dick è uscito nel 1964, e si chiude su queste parole: “Non lo farete. Perché noi non ve lo permetteremo”.
Ma intanto lo fanno, e continueranno a farlo, perché la menzogna non si ferma mai, non solo di fronte a fatti evidenti a tutti, ma anche quando i fatti, oltre che evidenti, sono lì ben visibili e si possono toccare con le mani, a qualche centinaio di metri dal mentitore.
Mi ricordo che qualche anno fa m’era capitato di leggere in un importante quotidiano milanese, quello che da sempre è il più importante quotidiano milanese e che è addirittura uno dei più importanti e autorevoli giornali d’Italia, che il C.S.O.A. Leoncavallo, che allora era ancora in via Leoncavallo, aveva organizzato una tregiorni di musica al Parco Lambro. L’autorevolissimo quotidiano dedicava al fatto mezza pagina della cronaca cittadina, compresa intervista a un assessore della Giunta Comunale precedente, che si dichiarava giustamente scandalizzato che la Giunta attuale avesse dato il permesso al Leoncavallo, con i gravi danni per il Parco che la cosa avrebbe comportato, tenendo conto oltretutto che sarebbe arrivata gente da tutta Italia, e che questa gente si sarebbe attendata nei prati del Parco.
Io non ho mai avuto nessuna simpatia per i Centri Sociali in generale né per il Leoncavallo in particolare, già allora luoghi di contenimento e di evirazione del disagio giovanile e che come naturale evoluzione sono diventati locali mangia-bevi-balla-facciamo cultura, e questa cosa che facessero una specie di festival al Parco Lambro la trovavo una vera porcheria. Però m’è venuta una curiosità, per la musica e per il resto, e mi sono detto stasera ci vado. Il Parco Lambro lo conoscevo bene perché era uno dei posti dove andavo a correre, e così ho lasciato la macchina dove non ci sarebbero poi stati problemi ad andarmene, e nella notte mi sono addentrato nel Parco, diretto verso il posto dove era più probabile che avessero messo il tendone di cui parlava l’autorevole giornale.
Ma il parco era silenzioso e deserto. S’era già nella bella stagione, e ho incontrato un gruppetto di ragazzi a cui ho chiesto informazioni. Ma non avevano visto né sentito niente nemmeno loro, e mi guardavano come se fossi scemo o peggio. Allora sono uscito dal Parco e dopo aver camminato un po’, non mi ricordo bene come, ho trovato il tendone del festival. In un parcheggio lì vicino, e c’era anche la tendopoli di quelli che venivano da fuori, due o tre tende piantate su un pezzetto di terreno erboso per modo di dire, dall’altra parte della strada che costeggiava il Parco. Nel Parco niente festival, niente tende, niente di niente.
E per finire, qualcuno sa che fine hanno fatto la SARS e il Morbo del Pollo? (bamborino)
Nel libro di Duesberg c’è l’ormai immancabile “soddisfi” invece di “soddisfaccia”, e questa edizione del libro di Dick è piena di un comico refuso che scambia “omeostatico” con “omeopatico”.
L’eterna vigilanza è il prezzo della libertà. La pazzia è il prezzo dell’eterna vigilanza. (Mark Vonnegut, Eden Express)

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