lunedì 7 maggio 2012

Michael S. Gazzaniga


Michael S. Gazzaniga, La mente etica. (Codice)
Si nasce in clinica e si muore in ospedale, dice Marc Augé.
Riassumendo in una frase il potere che la Medicina ha preso nella vita di tutti noi.
Nella vita normale, quella dei giorni che si susseguono ai giorni. Basta accendere il televisore e vedere che massa di programmi si occupa direttamente del corpo e della salute, e che massa di programmi fa entrare indirettamente il discorso sul corpo e sulla salute in tantissimi argomenti, per non parlare delle avventure del dottor House. E se si sta attenti alla pubblicità si potrà vedere che per ogni giro di spot ce ne sono sempre almeno due che trattano argomenti connessi con la salute e il benessere, direttamente reclamizzando farmaci o quasifarmaci, e indirettamente segnalando le percentuali di grassi nei cibi, quando il discorso della salute e dell’efficienza fisica non viene addirittura utilizzato ingannevolmente per spingere la vendita di abominevoli miscele tossiche di carboidrati e di grassi.
Per non parlare poi di quello che succede con la cronaca nera, quando viene posto il problema se l’assassino abbia o non abbia avuto un raptus, e qui lo psicologo sapiente non manca mai. Una volta ho sentito uno che diceva che la violenza ci viene dal nostro ancestrale passato bestiale, perché i leoni quando vogliono far sesso non chiedono il permesso alle leonesse ma le aggrediscono a morsi. Dimenticando che gli animali si accoppiano in periodi geneticamente prestabiliti e che in generale sono le femmine a decidere, e siamo solo noi e i bonobo che lo facciamo tutto l’anno. E comunque poi si seppe che l’uomo che secondo l’illustre criminologo aveva avuto un raptus animalesco in realtà aveva solo nascosto un cadavere, con umanissima decisionalità consapevole.
Michael Gazzaniga (non sono riuscito a trovare da nessuna parte cosa significa la S.) non è un grande neurofisiologo, ma un sommo neurofisiologo, che è stato la guida degli studi sulla divisione in due parti del cervello, emisfero destro ed emisfero sinistro, che hanno cambiato radicalmente quello che si sapeva sul sistema nervoso centrale, e in parte hanno cambiato anche quello che si sapeva sul pensiero.
Quindi è il caso di prendere nella massima considerazione quello che dice, e se ci dice che sono in corso studi di psicologia neurocomputerizzata per programmare delle telecamere in corrispondenza delle porte automatiche in modo che si capisca l’umore di una persona dai tratti del suo viso per mostrare sullo schermo lì vicino la pubblicità più adatta al suo stato interiore, se ci dice che sta per arrivare anche questo è il caso di credergli. Tenendo presente che abbiamo già il computer zeppo di cookie che conoscono le nostre preferenze quando andiamo in giro nella Rete.
Non che il libro consista in una serie di informazioni spaventose. Si tratta semplicemente di un libro molto utile e molto facilmente comprensibile. Ma ciò che è veramente spaventoso è appunto l’estensione del pensiero medico in tutti i campi dell’esistenza e soprattutto nel campo dell’etica, che Michael Gazzaniga mostra in modo così terribile proprio perché per lui si tratta semplicemente di sviluppi della scienza, e la questione è solo se controllarli o no, e come vadano controllati, e da chi.
Si comincia con il problema di come si debba valutare, da un punto di vista medico-biologico, che cos’è la vita (1). Cioè quando comincia e quando finisce la vita. E dalla questione delle cellule staminali a quella di quando una persona sia da considerare morta e si possano sospendere le procedure che la tengono più o meno artificialmente in una condizione che non si sa se chiamare vita o cosa, anche questo è uno degli argomenti di dibattito televisivo di maggior successo, sempre a proposito dell’intrusione medica in tutto ciò che riguarda l’esistenziale.
A questo proposito direi che il libro di Gazzaniga, che en passant si dichiara cattolico, è veramente prezioso, che si sia d’accordo o no con le sue opinioni sulla questione, nel permettere di affrontare l’argomento con un minimo di cognizione di causa e nei tempi lenti e riflessivi della lettura e senza le interruzioni rumorose della pubblicità.
Segue una prima questione di rapporto tra la ricerca medica e la vita quotidiana, cioè cosa è possibile fare per migliorare le nostre prestazioni mentali, e se sia lecito farlo. Dove si presenta un altro problema, che è quello di definire le prestazioni mentali, e tra esse l’intelligenza. Che non è affatto una faccenda semplice e facile, e questo libro ce lo spiega più che bene.
Dopo di che, Gazzaniga affronta il problema della coscienza intesa come consapevolezza, del libero arbitrio, e più in generale del comportamento, ovvero i rapporti tra il cervello e la mente, e tra cervello e comportamento normale e non normale. Dove naturalmente si parla di Phineas Gage (chi non sa chi era si faccia un giro di Google, si trovano facilmente anche dei disegni chiarissimi del suo celeberrimo sfondamento cranico) e da qui ci si addentra in una palude in cui era già malamente cascato Antonio Damasio nel suo L’errore di Cartesio, delineando come ambito del comportamento normale qualcosa che si riassume più o meno nella capacità di metter su famiglia trovare un lavoro e farsi un piano pensionistico.
Quindi il problema torna ad essere sostanzialmente analogo a quello dell’inizio del libro, non cosa sia la vita, ma cosa è che decidiamo di chiamare vita, e in base a quali elementi. E così a questo punto fanno la loro comparsa i criteri sulla cui base il comportamento viene definito normale o non normale, criteri di tipo medico-biologico. Cioè come la neurofisiologia studia il comportamento, come studia il funzionamento del cervello con tecniche che permettono di osservarne le variazioni di flusso sanguigno e di energia mentre la persona mostra i suoi diversi modi di comportamento, e quali siano i rapporti tra il cervello e il comportamento.
Da qui si passa a una delle parti più belle movimentate e interessanti del libro, sui problemi che riguardano la responsabilità penale e il rapporto tra decisioni e attività cerebrale, dove si chiarisce che il concetto di responsabilità dell’individuo è una costruzione sociale che esiste nelle regole di una società e non nelle strutture neuronali del cervello. Sempre a partire dalle problematiche relative alle testimonianze nei processi penali, Gazzaniga ci spiega poi con la massima chiarezza e semplicità che cosa sia la memoria, e ce lo spiega in modo da chiarire ulteriormente, se ce ne fosse ancora bisogno, che anche per quello che riguarda questa facoltà il nostro cervello non ha nulla a che fare con i computer.
Arriviamo quindi al gran finale, su come la neurofisiologia cerca (1) di definire e di studiare il senso morale. Che comprende una bellissima spiegazione della teoria della mente, cioè delle ipotesi finora avanzate su come ci facciamo un’idea di quello che pensano gli altri. E da qui si passa ai neuroni specchio e all’origine del linguaggio.
Insomma un libro sostanzialmente facile e tremendamente pieno di roba. Ottimo per cominciare a occuparsi di certi argomenti, e ottimo anche per fermarsi lì ma sapendone parecchio di più e riuscendo tutto sommato a ragionarci sopra con un pochino di preparazione. (herzenstube)
Nel piacere di trovare la distinzione tra famigliare e familiare e di leggere adattativo invece di adattivo, oltre a sé stesso con l’accento, dispiace trovare l’osceno anglismo realizzare invece di rendersi conto. Poi c’è un dna minuscolo e ci sono due refusi comici, neuroepilettici invece di neurolettici a pag. 65 e libico invece di limbico a pag. 165.
Ma che bello bellissimo trovare ogni tanto un editore che come Adelphi mette l’indice all’inizio come è giusto, come nei ristoranti che il menu te lo portano prima e non dopo il pasto, e che bello bellissimo anche il nastrino segnalibro di seta rossa, e la carta meravigliosa e l’elastica morbidezza dell’oggetto.
(1) Nel provvedere come faccio sempre per tutti i post alla redazione finale di questo scritto di Herzenstube mi sono trovato ad affrontare un problema, che potrà anche apparire del tutto irrilevante ma il bello di fare un blog è questo, la libertà di esprimersi in tutta la propria profonda efferatezza, e quindi metto fuori il problema, per tutti gli imbecilli ossessivi come me che sono invitati a dire su questo la loro con uguale efferazione.
Cioè all’ottavo capoverso Herzenstube aveva scritto, cosa sia la vita. E a me quel congiuntivo non mi andava giù. Perché secondo me il congiuntivo è da riservare a discorsi in cui si presenti (eccolo di nuovo, il maledetto: si presenta o si presenti?) un’aria di possibilità e/o di indeterminatezza, e qui, dannazione, qui siamo a metà strada e non si sa che pesci prendere o lombardamente siamo tra il gnacc e il petacc, mentre più elegantemente un francese non saprebbe su che piede danzare e un inglese si troverebbe poeticamente in bilico tra il diavolo e il profondo mare blu. Perché se è vero che cosa sia la vita in questo caso è da decidere e quindi è cosa indeterminata, è anche vero che si deve decidere non cosa la vita potrebbe o dovrebbe essere, ma cosa in realtà è. Problema che si è posto anche immediatamente dopo con la frase, quando comincia e quando finisce, che in origine era, quando cominci e quando finisca. Insomma io i congiuntivi li ammazzo tutte le volte che posso e alla fine ho deciso per l’indicativo, ma questa volta mi è rimasto il dubbio, che è rimasto anche per il cerca del penultimo capoverso. (bamborino)
Noi sappiamo che non sono i raggi che i corpi assorbono, ma quelli che essi respingono a dar loro i colori che li contraddistinguono; e nello stesso modo le persone vengono differenziate dai loro antagonismi e dalle loro antipatie, mentre il loro buon voler viene considerato cosa trascurabile. (Thomas Hardy, Via dalla pazza folla)

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