mercoledì 23 maggio 2012

Niall Ferguson


Niall Ferguson, Ascesa e declino del denaro. (Mondadori)
Nel 1929 Alfred North Whitehead, autore con Bertrand Russell dei Principia Mathematica, scrisse in Process and Reality che “The safest general characterization of the European philosophical tradition is that it consists in a series of footnotes to Plato” (e lascio il testo originale per protesta contro la traduzione italiana generalmente circolante che ha trasformato le footnotes, note a piè di pagina, in note in margine).
Ma credo che anche chi non conosce questa famosa frase di Whitehead sia ben consapevole di quanto grande e profondo sia ancora oggi il debito della cultura occidentale nei confronti dei Greci. Dalla matematica all’architettura alla poesia all’alfabeto fonetico con le vocali indipendenti (vedi  Oralità e scrittura di Walter Ong). Omero, il teatro greco, Aristotele,Talete, la geometria che deve il suo nome a Euclide, Pitagora, il Partenone e i templi di Agrigento e tutto quello che si continua a scrivere ancora oggi sull’Antigone di Sofocle e chi più ne ha più ne metta. E faccio notare che sono riuscito abbastanza facilmente ad evitare di servirmi dello sfigatissimo “e quant’altro” che sembra diventato obbligatorio come tutte le altre espressioni formulaiche della nostra epoca di oralità secondaria (vedi di nuovo Oralità e scrittura di Walter Ong) , tipo “assolutamente” e “perfetto”.
Poi ci possiamo ricordare che dobbiamo ai Romani alcune cosette come le strade l’invenzione dell’arco (quello dell’edilizia, non quello per tirare le frecce) e delle fogne e dei cessi pubblici e volendo ci possiamo far venire in mente che le piramidi dei Faraoni sono ancora lì, come i loro templi, più un tot di obelischi qua e là.
Ecco.
Con tutto questo, io credo che solo a un cretino integrale (cioè un cretino a quattro ruote motrici, che se ne vedono in giro sempre di più) potrebbe venire in mente di dire che tutte queste bellissime cose devono la loro esistenza ad una organizzazione sociale basata su una rigida divisione dell’umanità in caste e sulla schiavitù, e da qui passare a tessere le lodi dello schiavismo, senza pensare che di volta in volta nel passare dei secoli il mondo è stato quello che è stato semplicemente e panglossianamente (vedi Candido di Voltaire) perché non era possibile che fosse diverso, e che l’esperimento di vedere come sarebbe stata Atene senza schiavi non è stato possibile farlo, e quindi è inutile dire sciocchezze sui rapporti tra la schiavitù e la bellezza delle poesie di Saffo.
Inutile e tautologico.
Cioè in un momento in cui tutti si sono messi a dire che la finanza è un male, Niall Ferguson ci vuole far vedere che invece è un bene, ma la finanza e il denaro sono cose senza le quali nel nostro mondo che è fatto come è fatto, semplicemente non si potrebbe vivere, e quindi la finanza non è né bene né male, e come dice David Foster Wallace in Infinite Jest, solo i freak Luddisti e mangia-cereali direbbero che è male una cosa senza la quale non si riesce a vivere, e come al solito gli scrittori, o perlomeno i Grandi Scrittori, la sanno più lunga di tutti.
Ma Niall Ferguson in questo libro che ha per sottotitolo, Una storia finanziaria del mondo, ci dice subito che le meraviglie del Rinascimento italiano sono partite e sono state sostenute dall’attività finanziaria dei Medici, che poi verremo a sapere che guarda te la famiglia Medici esordisce nella storia esercitando l’attività del brigantaggio, e diventa quasi patetico quando ci fa notare che il denaro per pagare la Nascita di Venere di Sandro Botticelli proveniva anche quello da attività finanziarie, e nel suo entusiasmo per le meravigliose meraviglie che secoli di attività finanziarie hanno portato alla vita di tutti arriva a dire che i Nukak della foresta pluviale amazzonica (che dice, sopravvivevano solo grazie alle scimmie che riuscivano a cacciare e alla frutta che riuscivano a raccogliere, e chissà di cosa dovevano vivere secondo lui quando stavano nelle foresta, e poi ci fa notare che questi Nukak non hanno il concetto del futuro, facendoci così sapere di non aver letto in tutta la vita una riga di un libro di antropologia e che sostanzialmente il concetto di cosa sia il tempo lui ce l’ha ancora meno dei Nukak, che poi volendo per chiarirsi il problema gli basterebbe leggere un bigino su Kant), i Nukak sono molto contenti di vivere attualmente di assistenza pubblica nei sobborghi di una cittadina colombiana. Anche se dovrebbe sapere che quel che resta dei Nativi Americani pare che non la pensino esattamente così.
Non solo. Per farci rimanere a bocca aperta sull’orlo dell’abisso, Niall Ferguson ci invita a immaginare un mondo senza denaro e perbacco, è certamente vero che senza denaro il nostro mondo crollerebbe, ma è altrettanto vero che gli Egiziani che non conoscevano l’uso del denaro sono riusciti a tirar su le piramidi. Che sono ancora ben lontane dal crollare.
E certamente ha ragione Ferguson nel ricordarci che la vita dell’agricoltura di sussistenza è dura, ma forse la vita di un bambino orientale che lavora dodici o più ore al giorno in una fabbrica di scarpe o di borse è anche più dura, e forse era spaventosamente dura anche la vita di un operaio in una fabbrica dell’Ottocento, paragonata alla vita del cacciatore-raccoglitore. Come ci sono stati momenti di vita durissima dalle parti di Bhopal.
Bah.
Comunque una volta chiarita la profonda devozione di Niall Ferguson per tutto quello che riguarda il capitalismo e la finanza, bisogna riconoscere che la parzialità della sua visione del mondo non arriva a distorcere la narrazione dei fatti, fino al chiarimento, e questo lo dovrebbero leggere tutti, della natura di truffa planetaria legalizzata di tutta la recente faccenda delle obbligazioni che contenevano i mutui subprime, di cui tutti parlano ma di cui quasi nessuno ha capito qualcosa, e Ferguson questa storia la spiega molto bene.
Come spiega bene tante altre cose, anche se credo che per capire proprio benissimo e senza fatica tutto quello che dice qualche anno passato alla Bocconi sarebbe utile.
Ma non importa. Il libro è bellissimo, è scritto molto bene cioè con semplicità scioltezza e chiarezza, e credo che sarebbe utilissimo a tutti per imparare tante tantissime cose di cui non abbiamo la minima idea, per esempio su cosa sono e come funzionano in realtà le banche. Con conseguente riflessione sul fatto che da molti anni i soldi che entrano nelle Borse poi non ne escono più, visto che per tirarli fuori io bisogna che ce li metta qualcun altro, e allora i soldi un po’ alla volta dovrebbero sparire, ma qui si spiega (pag. 39) come fanno le banche a moltiplicarli anche quando non ci sono.
Anche se un piccolo errore Niall Ferguson lo fa, piccolo ma ugualmente inammissibile per un professore di storia che scrive un libro sulla storia della finanza, quando dice che i contratti a termine sono stati inventati alla borsa di Chicago nel 1874. Sappia quindi il prof, e sappiano i lettori di questo blog, che i contratti a termine, che hanno poi generato gli attuali future, sono stati inventati, sempre in ambiente agricolo, al mercato del riso di Osaka nel 1710, e per l’appunto poco dopo, e molto prima di Charles Henry Dow, i giapponesi hanno inventato anche l’analisi tecnica, con il metodo cosiddetto delle candele.
E poi c’è il semplice grandissimo piacere della lettura delle avventure del denaro dal Medioevo ai nostri giorni, che comprende Crociate e scoperta dell’America e colonizzazione, spiegazione di cos’erano i rentier inglesi utilissima per capire molti romanzi dell’Ottocento, Rivoluzione Francese e guerre napoleoniche e guerra di Secessione americana e loro rapporti con il mercato obbligazionario, prima e seconda Guerra Mondiale, con sorprendenti scoperte sulla globalizzazione dell’economia che non è affatto una novità ma è cominciata con la colonizzazione e in realtà c’era già stata in pieno alla fine dell’Ottocento.
Anche se, a ben guardare, tra la globalizzazione economica che ha preceduto la Prima Guerra Mondiale e la globalizzazione dei nostri giorni c’è la profonda differenza che nel caso attuale la rete di dipendenze economiche acquisisce una dimensione planetaria mentre gli organi di controllo politico si fanno sempre più deboli, diversamente dal passato, in cui gli Stati nazionali avevano abbastanza potere da coordinare in qualche modo economia politica e cultura, mentre al giorno d’oggi il potere reale in quanto incarnazione della circolazione mondiale di capitali e informazioni diventa sempre più extraterritoriale e se ne frega di istituzioni politiche che continuano ad avere un carattere prettamente locale. Che non lo dico io ma lo dicono Zygmunt Bauman e altri ma abbiamo visto all’inizio del post che Niall Ferguson non è molto interessato alle visioni storiche e sociologiche di ampio respiro.
Anche se devo dire ai lettori del blog che per rendersi conto di quel che era la speculazione finanziaria globalizzata intorno alla metà dell’Ottocento basterebbe leggere Lady Anna di Anthony Trollope, con particolare riferimento al cap. XIV. 
E poi verremo a sapere tante cose sulla crisi del ’29, anche se a questo proposito Ferguson vede ancora solo motivazioni in sostanza esclusivamente finanziarie, e inoltre fa un casino trasferendo i problemi delle economie europee in quelli dell’economia americana, oltre ad attribuire a nulla l’aumento di produttività industriale verificatosi negli anni Venti, per poi chiudere il discorso meravigliandosi che gli Stai Uniti, la cui economia era in una buona condizione, siano stati l’epicentro della crisi, per aggiungere solo di sfuggita qualcosa sullo sviluppo tecnologico, e consiglio a chi volesse leggere qualcosa di più coerente di rivolgersi a La fine del lavoro di Jeremy Rifkin.
Poi ci sono le meravigliose avventure di Nathan Rotschild con un discorso sulla posizione degli ebrei nella storia europea degli ultimi duecento anni e per questo vedi anche Modernità e Olocausto di Zygmunt Bauman, e le rocambolesche avventure di John Law l’uomo che dissestò la Francia prerivoluzionaria, oltre alla triste storia del duca di Buckingham.
E ancora verremo a sapere che la distruzione dello stato sociale attualmente in corso, con tanto di invenzione delle pensioni private, è cominciata nel Cile di Pinochet, e impareremo come sono nate le assicurazioni e ne leggeremo di tutti i colori su quello che è successo a New Orleans dopo l’inondazione di Katrina, ci troveremo a sapere di più sulla politica di Margaret Thatcher e ci verrà il più che legittimo sospetto che il PIL sia una cosa fumosa e senza senso e faremo la scoperta abbastanza spaventosa che la proprietà di beni immobili rappresenta una sicurezza solo per quelli che ci prestano i soldi, e a volte nemmeno.
Insomma veramente una gran bella lettura istruttiva.
E anche se per tutto il libro si sente la tensione continua dell’Autore ad affaticarsi per illustrarci e spiegarci le meraviglie della finanza, sforzo nel corso del quale tirerà in ballo persino l’evoluzione nel senso di Darwin senza rendersi conto che tra il casino continuo dell’economia e l’ordine progressivo dello sviluppo della vita passa una differenza che per capirla basta guardare con un minimo d’attenzione una pianta, e l’evoluzione non è affatto come dice lui il miglior modello per spiegare l’andamento della finanza perché per il casino semplicemente non ci può essere un modello esplicativo e veramente il suo paragone tra gli strozzini e gli organismi procarioti direi che sconfina nel grottesco, alla fine Ferguson nel suo sviolinare la finanza dopo le meraviglie dei Medici a Firenze di meraviglioso non riesce a trovare più niente, e in realtà racconta una serie impressionante di disastri planetari e di sofferenze per milioni di persone in ogni epoca (spaventoso quel che dice dell’estrazione dell’argento a Potosì).
Mentre ci fa venire il sospetto che sia convinto che la vita su questo pianeta, o almeno la vita che vale la pena di prendere in considerazione, si limiti all’Europa e agli Stati Uniti e ci conferma nell’idea che il denaro è una gran bella cosa, ma è una gran bella cosa soprattutto per chi ne ha molto. (bamborino)
A pag. 19 c’è scritto, dal 1979 al XVIII secolo, a pag. 62 c’è paci, plurale di pace che è la prima volta nella mia vita che lo leggo e anche il programma di scrittura del Mac me l’ha sottolineato in rosso, a pag. 87 c’è un 500.0000, a pag. 121 servì invece di servirono, a pag. 137 c’è un gli al posto di un le, a pag.168 forse manca una a, a pag. 242 mi sembra che ci sia un non fuori posto che cambia il senso della frase. Poi a pag. 207 c’è un congiuntivo che trovo orrendo anche se è ben sorretto dal suo bravo che, ma questa faccenda dell’uso del congiuntivo l’ho già detto che per me è spesso un casino.
Sicuramente non possono sussistere dubbi che l’accesso al potere economico e politico dei semi-istruiti ha comportato una riduzione drastica della ricchezza e della dignità del linguaggio. (George Steiner, Linguaggio e silenzio

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