giovedì 3 maggio 2012

Walter J. Ong

Walter Jackson Ong, Conversazione sul linguaggio. (Armando)
Si tratta di un testo del 1973, quindi molto prima di Oralità e scrittura (qui) e soprattutto molto prima che le comunicazioni fossero sconvolte dalle rivoluzioni della tecnologia informatica.
Il pensiero di Walter Ong deve molto a George Steiner e a John Austin e l’impossibilità di prevedere i cambiamenti dovuti all’IT l’ha portato a preconizzare un futuro immediato di audiolibri che poi non c’è stato e che forse comincia a presentarsi solo adesso, ma questo non rende meno valido il testo perché in assoluta scioltezza si parla della nostra totale dipendenza e immersione nel linguaggio e, tre anni prima della pubblicazione del rivoluzionario e piacevolissimo anche se sostanzialmente sbagliato Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza di Julian Jaynes, padre Ong segnala la natura di evento della parola. Che del resto era già stata ampiamente considerata da un altro dei suoi testi di riferimento, il fondamentalissimo  La galassia Gutenberg di Marshall McLuhan.

Oggi, possiamo osservare che le rivoluzioni della tecnologia forse stanno trasformando proprio questo aspetto di evento della parola, perché la rapidità con cui si può trasmettere la parola scritta fa anche di questa un evento e la rende sempre più simile al linguaggio parlato, ma si tratta di un evento di un tipo del tutto nuovo, in quanto a differenza della parola pronunciata a voce, la parola scritta della trasmissione elettronica rimane e quindi è un evento definitivo e non più transitorio come accadeva fino a poco tempo fa, e anche  a questo proposito ci possiamo dire soltanto che be’, staremo a vedere. 
Walter Ong ci ricorda quindi, sempre con McLuhan, l’importanza essenziale della scrittura nella generazione del pensiero scientifico e il ruolo fondamentale, del tutto ignorato dalle psicologie, che può avere lo studio della letteratura per la comprensione dei cambiamenti del modo di pensare degli uomini e delle relazioni interpersonali nel corso delle diverse epoche.
Ci fa osservare come la nostra individualità, data l’impossibilità di pensare al di fuori di un contesto verbale, non consista nel pensiero, che si forma in un ambiente condiviso, ma nella volontà. E da qui  si può partire per farsi un giro, con John Searle, nei territori del rapporto tra linguaggio pensiero e intenzionalità, con qualche eventuale pensierino esistenzialista sui rapporti tra l’essere e il pensiero.
Ma la vera particolarità di questo libro è di mostrarci la natura non banalmente utilitaristica del linguaggio, in quanto la parola non è dotata solo di una funzione di comunicazione, ma essenzialmente è portatrice di un significato. La parola è un simbolo di qualcosa, e per questo nel linguaggio troviamo una strada verso la trascendenza, ed è nel pensiero, che trova forma nella parola, che risiede anche il collegamento che abbiamo con la nostra coscienza.
Tutto questo, in un testo breve e presentato come conversazione e quindi decisamente non difficile, anche se non completamente digeribile e assimilabile in una sola lettura. (bamborino)
In proporzione con la massa dell’umanità gli alfabetizzati cerebrali – non abbiamo un termine adeguato – sono pochi. (George Steiner, Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero)

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