martedì 24 luglio 2012

David Foster Wallace


David Foster Wallace, Considera l’aragosta. (Einaudi)
Dall’inizio alla fine questo testo, o meglio questo insieme di testi, rimane sospeso tra la saggistica e la narrativa.
Diventa quindi particolarmente difficile dire alcunché su queste pagine in cui lo stile la forma e il contenuto si compenetrano gli uni negli altri in saggi che si sviluppano sempre anche come storie personali, e in narrazioni che esprimono comunque con forza non solo una visione del mondo, ma un pensiero sul mondo e una riflessione sulle persone e sul senso del loro agire.
E la grandissima maestria di Dfw (per scriverlo come farebbe lui) si esprime proprio in questo, nel parlare con la massima facilità di tutto, storie personali e riflessioni sull’uomo sulla politica sulla società e sull’esistenza, persino in un saggio che tratta di un dizionario.
Da subito Wallace si è presentato come uno scrittore profondamente occupato dal problema etico, e anche Considera l’aragosta è completamente attraversato da un atteggiamento che ci porta a vedere come fondamentale il problema morale, il problema di porsi domande etiche su quello che ci succede intorno, di imparare a riconoscere il Male e i suoi modi di invadere sempre di più la realtà e di penetrare anche nei dettagli più futili della vita di tutti i giorni, e di imparare a distinguere il Male dal Bene in tutte le circostanze dell’esistere quotidiano.
E soprattutto Wallace mostra la necessità di impegnarsi in questo sforzo a prescindere da prese di posizione ideologico-politiche. O meglio mostra, tutte le volte che una presa di posizione potrebbe apparire facile se non addirittura scontata, che anche quando ci sembra di capire tutto, per capire tutto e avere le idee chiare bisogna prendere in considerazione anche il punto di vista degli altri, e le idee allora diventano molto meno chiare, e la ricerca della verità si rivela un’altra volta uno sforzo che, se si è onesti con sé stessi, darà sempre come risultato il dubbio.
Non che Dfw non prenda posizioni. Ne prende di fortissime, per tutto il libro. E proprio perché coinvolge il lettore in una riflessione continua su sé stesso e sul mondo, lascia sempre un’apertura. Un’apertura totale e inesprimibile, come quella che appare nel racconto sulla giornata dell’11 settembre, scritto in quell’anno, quindi poco dopo il fatto.
Ma la grandissima grandezza di Wallace è che questa totale formidabile tensione etica non condiziona e non limita mai nemmeno minimamente la bellezza della scrittura.
Il libro chiude con uno scritto (non c’è una parola per definirlo altrimenti) su una talk-radio in cui Dfw dà una prova, una grandissima prova, di quello che ci può essere di nuovo per le possibilità della letteratura, in un’epoca in cui gli scrittori possono pensare il proprio manoscritto già quasi nella sua veste editoriale definitiva, e prepararlo, con il pc, quasi pronto per la stampa, aprendo per sé stessi e ai lettori nuove possibilità, in realtà, di presentazione non solo dello scritto, ma anche del pensiero, e in questo caso il pensiero del lettore si trova a tener dietro allo scritto in una maniera che forse è assolutamente nuova. O almeno è stata nuova per me. Cioè questo Commentatore è assolutamente particolare, e di una particolarità, cioè un incasinamento di note e sottonote inquadrate e sparpagliate per tutto il testo al quale sono collegate da linee spezzate che attraversano la pagina come percorsi, che a prima vista sembra solo un giochino dispettoso, ma poi ci si accorge subito che questa forma grafica bizzarra è a tutti gli effetti il modo migliore per rendere letterariamente l’atmosfera della talk-radio e il suo rapporto con gli ascoltatori. Viene in mente ancora una volta Walter Ong, che mostra come la scrittura prima e la stampa poi abbiano portato ad un cambiamento del modo di pensare dell’umanità.
Ma il capolavoro è Forza Simba, il racconto della campagna elettorale di John McCain per le primarie del 2000, quasi cento pagine, che è un’opera di altissimo livello letterario in cui ritmo narrativo personaggi ambienti voci rumori odori colori commenti tutto, formano un aggregato meraviglioso in cui non è possibile separare una cosa dall’altra e si passa di pagina in pagina attraverso una quantità incessante di esplosioni formali che nella mia memoria trovano un termine di paragone solo in Dostoevskij.
Mentre sicuramente, per quel che riguarda i saggi in senso stretto, il massimo del libro sono le cinque pagine e mezza su Kafka, cinque pagine e mezza dense di osservazioni sulla letteratura, sul pensiero, sul mondo, sull’uomo, sul senso della vita.
Il che non ha impedito a qualcuno di far presente, con una delle citazioni della quarta di copertina, che David Foster Wallace tiene alta la tradizione del comico. (bamborino) 
Il comico in questo libro però non manca, ma è comica editoriale. La più grossa è che nelle pagine pari è riportato in alto il titolo complessivo dell’opera, e nelle pagine dispari il titolo del singolo scritto, e da pag. 66 a pag. 138, cioè le pagine dello scritto eponimo, il titolo complessivo diventa Come l’aragosta. Non basta, le pag. 317-320 e  321-324 compaiono due volte. Poi a pag. 109 (in Autorità e uso della lingua) in nota si parla di scoraggiare gli infiniti spezzati lunghi, e secondo me sarebbe meglio dire, scoraggiare dall’uso degli infiniti spezzati lunghi. Ancora, a pag. 85 c’è atteso invece di attesa, a pag. 95 un abominevole soddisfabile, a pag. 144 manca un verbo, a pag. 304 mostrano invece di mostra, a pag. 372 attaccate invece di attaccati. Infine mi domando se l’inglese skyline sia così intraducibile in italiano, non so, forse in un libro che contiene un saggio sulla lingua valeva la pena di sforzarsi, magari linea dell’orizzonte poteva andar bene.
P. S. A pag. 375 Wallace fa un accenno alle famose sfere scacciapensieri del capitano Queeg. Se non avesse parlato delle sfere, io del capitano Queeg, che era uno dei miti di mio padre, non mi sarei ricordato chi è, ma con le sfere mi è tornato in mente tutto. Quindi propongo un altro concorso a premi senza premi, per chi sa qualcosa di Queeg ma senza andare a cercare in Google.
Coloro che più dubitano sono quelli che meno sbagliano. (Samuel Richardson, Pamela)

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