sabato 8 settembre 2012

Richard Yates


Richard Yates, Revolutionary Road. (minimum fax) 

Si comincia con una recita andata male.
Dilettanti che cercano di metter su una compagnia filodrammatica di quartiere, in un sobborgo di villini di colletti bianchi vicino a New York. Quel tipo di case che da noi negli anni Cinquanta non sapevamo nemmeno che cos’era, e in America ce n’era dappertutto.
Dal falso della recita parte questo libro sul falso, che è uno dei libri più intensamente e profondamente veri che abbiamo mai letto sul vivere, sull’essere, su quello che siamo e su quello che ci raccontiamo, e che tutta la storia comincia con una recita ti viene in mente dopo che hai finito di leggerlo, e capisci che non è per caso, probabilmente Yates non ci ha nemmeno pensato ma questa storia poteva cominciare solo così, con una cosa falsa che non riesce bene, con un fiasco. E si continua in mezzo ai fallimenti, ai fiaschi di tutti i giorni di tutte le vite.
Potrebbe essere un libro sulla società americana, sul disastroso squallore di un mondo che non è capace di girare intorno ad altro che al denaro e all’apparenza sociale, e sullo squallido disastro di persone più che normali ed integrate che per tirare avanti trovano nell’alcol la normale ed integrata risorsa quotidiana. Probabilmente Yates voleva parlare di questo, ma nel riuscirci perfettamente gli è scappata la mano e ha scritto un romanzo che va molto al di là di una critica sociale contingente, anche se la contingenza di questa storia copre gli aspetti più sostanziali del Sistema in cui ci troviamo a vivere.
Revolutionary Road è un romanzo sull’essere e sulla coscienza forse paragonabile solo all'Oblomov di Ivan Gončarov.
La storia di un uomo che fa tutto quello che può per credere di essere qualcosa, di un altro uomo che fa tutto quello che può per far credere agli altri che lui è quello che vogliono che sia, la storia di una donna che crede di sapere chi è e crede che vada tutto bene e che quando si accorge di colpo che non c’è niente che va bene e che lei non è quella che credeva di essere e gli altri non sono quello che dicono di essere fa l’unica cosa che può fare. Con intorno le storie di quelli che a credere di essere qualcosa ci sono riusciti e camminano sicuri in mezzo allo schifo che di giorno in giorno costruiscono per sé stessi e per gli altri. E con le storie di due che capiscono tutto fin troppo bene e che si ritirano, uno nella sordità e l’altro in una follia fin troppo sapiente.
Un libro più che amaro sulla fatica di tirar sera tutti i giorni. Un libro di cui abbiamo parlato fra di noi per mesi, di cui nessuno ha voluto scrivere, e di cui alla fine anche se siamo riusciti a scrivere, non abbiamo scritto quello che volevamo, perché quando una lettura diventa una vera e profonda esperienza esistenziale la parola è una ben misera cosa per comunicarla. Un libro da leggere e da ripensare, da capire e da sentire. (alia, bamborino)




Chi non ama la musica è già morto. (John King, Cacciatori di teste)

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