domenica 7 ottobre 2012

Tristram Stuart


Tristram Stuart, Sprechi. (Bruno Mondadori)

Veramente, non so da dove cominciare.
Potrei cominciare dall’agricoltura.
O dal pesce.
O da quello che si butta via nelle famiglie, almeno in Gran Bretagna.
Così nel non saper che fare, comincio dal supermercato vicino a casa mia, che non è un posto di lusso e promette prezzi bassi sempre, e la gente che ci va è gente come me, e tra l’altro ce ne sono sempre tantissimi che pagano con i buoni pasto, che se alla cassa te ne becchi uno davanti sei fregata, che non ho ancora capito perché se li devono firmare lì alla cassa, e non possono prepararseli prima.
Nel supermercato per gente qualsiasi vicino a casa mia vendono ventisette (27) tipi di olio di oliva extravergine, e tra questi ventisette (27) tipi di olio ce n’è anche uno spray, sì spray avete letto giusto, e sul tappo c’è anche l’avvertenza che ogni spruzzo sono 1,7 calorie.
Da questa osservazione si passa al libro di Tristram Stuart, che è un viaggio in un incubo planetario, fenomenologia antropologia geografia economia e cultura dello spreco alimentare.
Dico solo che si butta via come minimo un terzo del cibo del mondo, quello che la gente butta senza mangiarlo, quello che buttano i ristoranti e i supermercati, quello che viene buttato via perché ci sono dei regolamenti sulle misure della frutta e della verdura, quel che va perduto per la cattiva conservazione dei raccolti, il pesce buttato subito dopo essere stato pescato, e altro.
Dettaglio agghiacciante, per ogni chilo di gamberi pescati si buttano via 24 chili di altri pesci.
Altro dettaglio agghiacciante, il cibo buttato è il quadruplo di quel che servirebbe a nutrire chi muore di fame.
Ancora un dettaglio agghiacciante, se lo si può chiamare dettaglio, il 10% di gas serra è dovuto in qualche modo alla produzione e al trasporto di cibo che non viene mangiato, e comunque tra il 25% e il 50% di gas serra è dovuto comunque al consumo di cibo.
Ce n’è di ogni, in questo libro formidabile, per chi ha voglia di leggersi le 318 pagine di Sprechi, decisamente impegnative ma più che meritevoli.
C’è anche un discorso sul divieto europeo di dar da mangiare ai maiali il cibo scartato e sui risultati che ne conseguono.
Con la sorpresa della prima meravigliosa spiegazione che ho mai trovato del perché gli uomini, invece di continuare a passare il tempo a cacciare e a gironzolare, a un bel momento si sono messi a lavorare, con tutto lo schifo che ne è venuto, nel capitolo 11, Le origini evolutive del surplus, che secondo me vale da solo la spesa del libro.
Ma a quello che dice Tristram Stuart forse si possono aggiungere alcune osservazioni.
Cioè che probabilmente lo spreco è una caratteristica ineluttabile, se non è addirittura la natura fondamentale, dell’epoca del capitalismo agonizzante.
Per esempio la spesa medica nel senso più generale del termine, che quando non consiste in stronzate come il laser per togliere i tatuaggi, manovrato da uno/a che ha la laurea in medicina, consiste in tutto il materiale e le risorse umane che vengono adoperati per persone negli ultimi sei mesi di vita, per arrivare alla fabbrica di abbigliamento italiana che non trovando più operaie cucitrici si ammoderna, e si mette un apparato laser automatico e computerizzato per tagliare i tessuti, che poi spedisce in Romania per la cucitura, per poi spedirli ancora altrove per la finitura, per poi far tornare il prodotto in Italia per il controllo di qualità e la confezione finale.
Spreco che per sprecare, spreca e per inquinare con i trasporti, inquina, ma in qualche modo fa saltar fuori e mantiene comunque un sacco di posti di lavoro.
Quindi nel mio piccolo medito sugli sprechi e meditando vado a fare la spesa come al solito al discount dove di olio extravergine ce ne hanno solo due tipi, oltre all’olio di oliva normale e all’olio di sansa che altrove non lo si vede mai, e quanto al supermercato sotto casa, mi verrebbe da passare del tempo appostata nella corsia, per vedere che faccia hanno quelli/e che comperano l’olio extravergine spray.
Mentre intanto in qualche posto del pianeta qualcuno muore di fame, e in altri posti del pianeta si comprano i bocconcini appetitosi per il gatto, e c’è dove non ci si possono curare le malattie, e dove si fa la pulizia dei denti con gli ultrasuoni e si allestiscono sale operatorie per l’autotrapianto dei capelli.(moll)

Si comincia con FareShare che compare solo una volta scritto così e per il resto è Fareshare o Farhare, a pag. 90 c’è la bella trovata di un  congiuntivo fuori posto che trasforma un rilievo statistico in un’ingiunzione, e poi c’è un vero disastro.
A pag. 159 c’è scritto, “Ma le difficoltà in materia di risorse hanno però portato gli uomini a nuovi livelli di ingenuità”.
A parte il ma però, uno/a si domanda che cosa gli è venuto in mente, a Tristram Stuart, di scrivere e soprattutto di pensare una roba simile. Poi però capisce che se chi ha tradotto avesse posto testa a quel che scriveva, e soprattutto se si fosse degnato di aprire un dizionario, senza arrivare alle raffinatezze dell'Oxford Mini andava bene anche il Collins bilingue per turisti che c'è anche in rete gratis, avrebbe scoperto che ingenuity non vuol dire ingenuità ma ingegnosità.
Del resto anche chi ha corretto (sic) le bozze non si è accorto della ridicola mancanza di senso della frase.
Insomma, ognuno si guadagna da vivere come può, ma gli sprechi sono pur sempre sprechi.
E credo che forse non sarebbe affatto una cattiva cosa se si decidesse di non pubblicare più il nome dei traduttori dei libri. Perché io per esempio, se nessuno sapesse chi sono dopo che ho fatto una figura simile, sarei certamente più contenta. Mentre rimango in fiduciosa attesa del momento in cui troverò of course tradotto di corsa.




Oggi viviamo un’estensione senza precedenti della miseria dovuta alla scarsità organizzata. (Philippe Godard, Contro il lavoro)

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