domenica 16 dicembre 2012

Henry James


Henry James, Daisy Miller. (Alia)

Henry James comincia con questo racconto il suo lavoro sulla distanza, che probabilmente è un segno fondamentale di tutta la sua opera.
Ma Daisy Miller secondo me è più di un libro, è un libro che è come una persona.
Perché Daisy Miller la conosciamo non attraverso l’impersonale racconto di un narratore esterno, ma attraverso l’osservazione di Frederick Winterbourne, americano spiazzato in Europa e spiazzato anche nei confronti della vita, che in qualche modo sembra rimanere sempre a una certa distanza da lui, come a una certa distanza si mantiene Daisy Miller, anche perché è lo stesso Winterbourne che questa distanza non riesce mai a colmarla.
Quindi non conosciamo Daisy Miller, ma quello che lei è per Winterbourne, come nella realtà non conosciamo mai una persona in quello che è per sé stessa, ma per quello che questa persona è per noi. E Daisy si muove intorno a Winterbourne in una inafferrabile elusività che si ferma su qualcosa di chiaro e apertamente svolto solo alla fine, quando però forse le somme si tirano con il senno di poi.
E questo libro è come una persona per una ragione ancora più forte e profonda, che c’è una frase che viene detta due volte, e la prima volta mi è sembrato di capire una cosa, che la seconda volta mi è parso di non comprendere nello stesso modo ma non riuscivo a capire come, e ho chiuso il libro e e la frase due volte proferita mi è tornata in mente il giorno dopo, e aveva  acquistato un significato terribile e tragico, e ci penso ancora adesso, e non sono sicura.
Come capita tanto spesso con gli altri.
E non è solo per questo che Daisy Miller spezza il cuore. (moll)

Si tratta di uno dei meravigliosi libri Alia con testo a fronte. Però il testo originale in blu, è tanto bello ma credo che si leggerebbe meglio in un banale nero, come il testo in italiano. Poi qui ho da dire per la traduzione, che per esempio a pag. 28 decide di eliminare una voluta ripetizione della parola cars, a pag. 36 decide di modernizzare l’elegante most earnestly di Henry James in uno sfigatissimo assolutamente sì.




Fintanto che non avremo un fine in grado di colmare la nostra vacuità, copieremo la vacuità degli altri replicando costantemente l’inferno dal quale tentiamo di fuggire. (René Girard, Disturbi alimentari e desiderio mimetico

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