domenica 28 aprile 2013

Jonathan Baron


Jonathan Baron, Contro la bioetica. (Raffaello Cortina Editore)

Si è parlato, a proposito di Interpreti di vite di di Javier Marías, della possibilità di provvedersi di criteri per comprendere e riconoscere le persone. Così, io so bene di avere i miei personali e viscerali criteri per comprendere e riconoscere i libri, cioè per farmi, a modo mio s’intende, un’idea del senso totale e profondo di un libro, magari basandomi su dettagli che altri troverebbero irrilevanti o su osservazioni personali che altri potrebbero considerare frettolose e superficiali.
Per quel che riguarda questo libro, dopo molte perplessità mi sono trovato a leggere, a pag. 137, che uno dei vantaggi di un’economia capitalistica, con una vasta scelta di beni, è che le persone possono scegliere ciò che massimizza la loro utilità, a prescindere da ciò che scelgono gli altri. Ecco.
Uno che scrive una cosa così, senza specificare se per economia capitalistica che offre questa molteplice Cuccagna di possibilità di scelte di utilità massimizzata intenda l’Europa, o gli Stati Uniti, o altri paradisi indiscutibilmente ad economia capitalistica come i paesi dell’Africa e dell’Asia in cui si muore di fame, uno che scrive una cosa così, io mi domando se è in buona fede e non si rende conto di quello che ha scritto, o se fa apposta e non si rende conto che può gabbare solo degli ignoranti e degli sprovveduti.
Nell’uno e nell’altro caso, penso che il senso profondo del libro consista essenzialmente in un panegirico del capitalismo.
Capitalismo che, ci spiega Jonathan Baron, può essere migliorato e reso più efficiente con generose iniezioni di utilitarismo e con l’aiuto delle scienze statistiche.
Va detto che a pag. 241 Baron dice chiaramente che la concezione utilitarista porterebbe a una ridistribuzione radicale delle risorse, per lo più dai paesi ricchi a quelli poveri, perché la maggior parte di queste, per esempio il denaro, ha più utilità per i poveri, che ne hanno poco o niente, che per i ricchi che ne hanno d’avanzo. E che salta fuori un po’ da tutte le parti, che il massimo dell’utilitarismo, anche per una faccenda che si chiama utilità marginale, sarebbe prendere i soldi da quelli che ne hanno troppi e darli a quelli che ne hanno troppo pochi.
Comunque, il discorso sulla possibilità di vendere i propri organi ai moribondi dei paesi ricchi da parte di individui in buona salute dei paesi poveri può lasciare un po’ perplessi, ma il libro, con tutti i difetti di impostazione ideologica che ho segnalato, è prezioso per rifornirsi di strumenti di aiuto ad una riflessione etica, o meglio per aiutare a comprendere come e quanto sia esteso e approfondito il tentativo del capitalismo attuale di confondere le carte in questo campo, spacciando per considerazioni etiche quelli che sono semplicemente i punti di vista di qualche gruppo politico, o tentando di far credere che visto che l’etica è un campo pericoloso e oscuro lo si possa illuminare servendosi di calcoli e di formule statistiche. In più, direi che questo libro potrebbe essere considerato indispensabile per chi è interessato ad un approccio non superficiale alla conoscenza del casino/schifo della situazione sanitaria mondiale.
Scoprendo anche che, se Jonathan Baron è profondamente critico nei confronti di tutto lo stronzismo che sta dietro e sotto alla bioetica in generale, il problema di fondo del libro è lo stesso problema di fondo dell’umanità, cioè il problema del significato.
Per esempio, il discorso sull’utilità marginale decrescente, per cui l’utilità di un bene sarebbe minore quanto più ne possediamo.
Su questo tema, Baron fa partire una specie di festival del Sotterfugio Utraquistico (vedi C. K. Ogden e I. A. Richards, The Meaning of Meaning) che abbiamo già descritto per L'economia della truffa di John Kenneth Galbraith. Cioè mette sullo stesso piano l’utilità marginale del denaro e l’utilità marginale delle mele, per cui più soldi hai e meno ne hai bisogno, e la quinta mela che si mangia è meno buona della prima, ma ci dice anche che così non succede con le noccioline, che più se ne mangiano e più se ne mangerebbero, anche se vorrei vedere cosa fa uno/a al trentesimo pacchetto di noccioline, e qui appunto confonde tra di loro fatti diversi del mondo fisico, e poi li confonde tutti insieme con faccende di pertinenza del mondo mentale, cioè non si capisce, ma probabilmente non capisce nemmeno lui, se si sta parlando di denaro mele noccioline in sé, cioè della cosa fisica, o dell’effetto che queste cose fanno alle persone, cioè della cosa mentale. Sempre che non si voglia vedere in questa mia distinzione tra il fisico e il mentale un eccesso veterocartesiano.
Così in questo saggio giustamente zeppo di inviti alla precisione terminologica, Jonathan Baron oltre a fare questi pastrugni si sforza di mettere un minimo di ordine nel guazzabuglio di pensiero e di pratica della definizione del Bene, che è una di quelle che C. K. Ogden e I. A. Richards in The Meaning of Meaning chiamano symbolically blank but emotively active words, ma appunto l’unico ordine che conosce è quello del capitalismo, e così alla fine non si capisce bene se per persone, o esseri umani, si intendano coloro che vivono nella Cuccagna del nord del mondo, o anche quelli che crepano a milioni ad altre latitudini.
Senza tener conto del fatto che, se si legge Modernità e Olocausto di Zygmunt Bauman, si può scoprire che forse furono proprio considerazioni basate su ineccepibili razionalità utilitaristiche quelle che portarono gli ebrei a collaborare con i tedeschi nell’organizzazione del loro sterminio.
Ma comunque è bellissimo, nelle ultime pagine, il sistema di tassazione proposto da Edward McCaffery, basato sul livello di spesa invece che sul reddito. Sistema che secondo me avrebbe tra l’altro il tonificante effetto di portare la gente a spendere meno soldi in cazzate, con il possibile risultato di cominciare forse una svolta nel nostro sistema economico basato sullo spreco. (bamborino)

A parte un soddisferà a pag. 47 e un soddisfi a pag. 66, non è la prima volta che si scopre, come qui a pag. 91, che i traduttori, cioè i professionisti della traduzione che si guadagnano da vivere traducendo, non conoscono la duration form, che invitiamo a ripassare a questo link
http://www.dailynterpreter.com/wp-content/2009/08/duration-form.pdf.
che mettiamo per esteso altrimenti non funziona.




I have often noticed that almost every one has his own individual small economies - careful habits of saving fractions of pennies in some one peculiar direction - any disturbance of which annoys him more than spending shillings or pounds on some real extravagance. (Elizabeth Gaskell, Cranford)

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