venerdì 20 aprile 2012

Jane Austen

Jane Austen, Ragione e sentimento. (Rizzoli)
Nella sua pur bellissima introduzione a Ragione e sentimento, Pietro Citati dice che ancora non viene riconosciuta la grandezza di Jane Austen. Ma lui stesso non la riconosce fino in fondo e tra le lodi la insulta, paragonando la sua Marianne a quel penoso totale imbecille (che è un imbecille lo dice anche C. S. Lewis in Le lettere di Berlicche) che è il giovane Werther di Goethe, come del resto non la riconosce fino in fondo nemmeno Harold Bloom (vedi qui, Il genio): forse per una qualche tara maschilistica, sembra che non si riesca a parlare di Jane Austen senza abbandonare del tutto considerazioni che aggettano almeno parzialmente nei territori dell’etica. Dai quali peraltro Jane Austen si teneva accuratamente lontana, ma ne parliamo dopo. Oltretutto, se la Marianne è una povera scema come Werther, bisogna riconoscere che Jane Austen da scema la tratta, mentre Goethe il suo scemo lo tratta come un eroe.
Invece come dice Walter Ong in Oralità e scrittura, il fatto di Jane Austen è che ha fondato il romanzo moderno, e dopo di lei niente è più stato come prima.
Cioè per tutto il Settecento qualcosa comincia ad agitare il mare della narrativa, e qualcosa di decisamente grosso, perché ci si sta spostando (vedi sempre Ong) da forme stilistiche ancora legate all’oralità verso la costruzione definitiva della letteratura dell’Epoca Tipografica (vedi Marshall McLuhan, La galassia Gutenberg). Per fare qualche incompleta esemplificazione, Tom Jones di Henry Fielding esce nel 1749 e ha già una struttura di notevole complessità ma che si costruisce, nelle peregrinazioni del protagonista, ancora sul tema del viaggio, legato alla bidimensionalità della percezione della realtà nelle culture orali, l’epistolare Pamela di Samuel Richardson esce nel 1740, poi lo stesso Richardson fa un balzo verso la complessità strutturale con Clarissa nel 1748 e quel capolavoro di incertezza stilistica che è La vita e le opinioni di Tristram Shandy di Laurence Sterne esce nel 1760, mentre Le amicizie pericolose di Laclos, anche questo epistolare, esce nel 1782.
In questo putiferio, è evidente che Jane Austen non ha imparato niente da nessuno, anche se con ogni probabilità aveva letto Clarissa, e la bomba di Ragione e sentimento, che esce nel 1811, è totalmente autoprodotta.
E non si tiri fuori Le affinità elettive che arriva due anni prima, ma non ha affatto una struttura paragonabile, con i personaggi che entrano ed escono dalla scena come marionette, e comunque prima o poi ne riparlerò.
Mi viene in mente quello che scrive George Steiner in Linguaggio e silenzio, di Omero che consegna la sua poesia all’uomo che sa scrivere, e nel farlo senza rendersene conto la rimette in ordine, e dall’oralità porta la narrativa nel terreno della scrittura.
Così mi piace immaginarmi la zitella di Chawton che sta scrivendo il suo romanzo epistolare Elinor and Marianne che articola trame complesse e soggettività diverse tra una lettera e l’altra, come si era sempre fatto fino a quel momento, e pensa alla storia che ha raccontato, e la confronta con le altre cose che sta scrivendo, e di colpo la bomba le scoppia nella testa, basta lettere, la trama è complessa, le soggettività sono formidabili e l’ingranamento reciproco delle vicende e dei personaggi è totale, ma la zitella lascia perdere la scansione temporale più comoda e le definizioni personali facilitate dalla prima persona delle lettere, e fa esplodere la terza persona.
La bomba è questa struttura completamente nuova, dove si abbandona la narrazione epistolare e senza andare in giro se non per spostamenti tra la campagna e Londra, attraverso semplici vicende d’amore e di relazioni interpersonali, si costruiscono storie totalmente inserite le une nelle altre, e i personaggi sono dotati ciascuno di caratteristiche complementari agli altri personaggi, rendendo l’ingranamento dei fatti inestricabile dall’ingranamento delle persone.
Perché la rivoluzione di Jane Austen non è tanto la terza persona, che c’è già in Cervantes e in Lesage per dirne solo due e che in realtà c’era da sempre Omero compreso, ma l’uso appunto della terza persona in un contesto di approfondimento psicologico e relazionale in cui ogni personaggio si esprime attraverso le proprie parole e prende forma attraverso le parole degli altri personaggi e attraverso i fatti che vengono narrati, senza che ci sia più la necessità di ricorrere alla prima persona per esprimere la soggettività. In narrazioni che non sono più lo sviluppo di una storia singolare con le sue ramificazioni e le altre storie che la attraversano, ma eventi di compattezza totale. Cioè la tridimensionalità di cui parla Marshall McLuhan in La galassia Gutenberg.
Oltre alle novità strutturali, ce n’è una più fine ma non meno importante e rivoluzionaria, che risolve il problema precedente, del tentativo di maneggiare il rapporto tra l’espressione di sé del linguaggio parlato e la necessità dell’uso di un linguaggio scritto: il problema aveva trovato una parziale soluzione nel romanzo epistolare, ma Jane Austen semplicemente lo supera e arriva alla mediazione completa, mostrando la capacità di far procedere la storia e di mostrare il carattere dei personaggi attraverso le conversazioni. Arte che è solo agli inizi in Ragione e sentimento, ma arriverà ad altezze assolute in Orgoglio e pregiudizio, e sarà ulteriormente e grandiosamente sviluppata da Dostoevskij.
Ci si può domandare se Jane Austen a queste cose ci aveva pensato, se era consapevole di quello che stava facendo quando ha deciso di riscrivere in terza persona un romanzo epistolare già cominciato. Chi lo sa.
Così come un’altra cosa che non possiamo sapere è se Jane Austen fosse consapevole della propria particolare posizione rispetto alle questioni etiche, perché un punto in cui questa Grande forse arriva addirittura ad anticipare il Novecento, con buona pace della critica moralisticamente impostata anche se entusiastica, è la sua assoluta mancanza di etica. Nei suoi romanzi, come fa notare Harold Bloom, Dio non c’è. E non c’è il minimo richiamo a nessun valore morale di stampo buonista, anche se le sue storie vanno tutte a finire strepitosamente bene e con la punizione o la redenzione dei cattivi. Non solo. C’è una spietata evidenza della stupidità e della meschinità umana e una critica sia delle persone che della società che porta a fare un’immediata analogia con Flaubert, per non dire con Céline.
Dopo di che, nel mio piccolo oso mettermi in fila, ovviamente ultimo della fila, con tutti gli altri e riconosco a Jane Austen tutto il bello e il bene possibili e per questo romanzo segnalo la grandissima finezza con cui disegna in tutta la sua complessità un personaggio importante come Edward Ferrars, che secondo me nell’incasinamento caratteriale ha pochi termini di confronto in tutta la letteratura, e l’irresistibile fascino di due personaggi minori come il signor Palmer e sua moglie. Ma Edward Ferrars e i Palmer  sono comunque meravigliosi come tutti gli altri.
E mi permetto di far notare, ricordando quel che dice Walter Ong dell’intertestualità, che la storia del Rochester di Jane Eyre somiglia tremendamente alla storia del colonnello Brandon di questo romanzo.
Per chiudere, Ragione e sentimento non solo è un capolavoro, ma è una meravigliosa preparazione alla lettura di quell’altro inarrivabile capolavoro che è Orgoglio e pregiudizio. (bamborino)
A pag. 114 manca una virgola, a pag. 134 c’è un errore di traduzione della duration form, a pag. 162 Beekeley Street diventa Barkeley Street, a pag. 173 in una viene splendidamente usata la maiuscola per il Lei formale, e allora perché non metterla sempre anche se poi Marianne che è un’ignorante quando scrive non la mette, a pag. 181 c’è un anacoluto stupendo, a pag. 205 la mezzoretta è scritta così ma a pag. 206 la mezz’ora trova il suo giusto apostrofo.
I genitori sanno perfettamente che l’infelicità ad essi connaturata la perpetuano nei figli, ma nella loro crudeltà vanno avanti a fare figli e a gettarli nell’ingranaggio dell’esistenza. (Thomas Bernhard, Il soccombente)

2 commenti:

  1. ... questo post è così perfetto che non riesco a commentarlo. Non ho nulla da aggiungere e nulla da togliere. In teoria potrei anche risparmiarmi questo commento, ma ho bisogno di esprimere il mio apprezzamento.

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