domenica 17 giugno 2012

Marc Augé


Marc Augé, Che fine ha fatto il futuro? (elèuthera)
Thomas Carlyle, nell’enumerare in  Sartor Resartus i diversi stili in cui si può scrivere un saggio, parla tra gli altri di uno stile che egli definisce apoplettico.
Da  Nonluoghi è passato un po’ di tempo, gli anni contano per tutti e può darsi che per Marc Augé quelli trascorsi tra i 57 e i 73 abbiano avuto il loro peso. Perché in Che fine ha fatto il futuro? innanzitutto la sua tendenza alla suddivisione in tre parti di qualunque argomento arriva a livelli di esplosione incredibili e il suo discorso, certamente non meno importante che in Nonluoghi per la profondità di contenuti, assume qui un andamento piuttosto caotico. O apoplettico.
Per non dire della sua fiducia nel futuro dell’esplorazione dello spazio, tipo flotte di astronavi che partono alla conquista di nuovi mondi, che mi sembra semplicemente una dabbenaggine che gli è venuta in mente chissà come.
Ma bisogna riconoscere che la complessità dell’argomento è veramente spaventosa e forse l’apoplessia stilistica viene proprio da questa complessità. Che si potrebbe anche chiamare casino, perché i cambiamenti avvenuti dal 1992 a oggi hanno costituito veramente un casino.
E quindi metto le mani avanti, perché anche il post probabilmente sarà piuttosto apoplettico.
Si comincia con un discorso sul nostro modo di vivere il tempo, cioè i tre modi di vivere il tempo. Il tempo che ci riguarda personalmente, il tempo del mondo, il tempo della storia.
Da qui Marc Augé passa al nostro modo di vivere lo spazio e il rapporto tra lo spazio e il tempo, che paragona a quelli dell’antichità e delle culture primitive. La globalizzazione è iniziata con la colonizzazione, la colonizzazione è stata per i colonizzati l’evento che ha distrutto il tempo, ma ha avuto una ricaduta anche sui colonizzatori e adesso l’evento che sta distruggendo il nostro tempo e il nostro spazio è il risultato della colonizzazione cioè la globalizzazione.
Idee peraltro non nuovissime in quanto già espresse da Hannah Arendt, nel 1958, in Vita activa, dove la Arendt prende in considerazione, con un bel pezzo di geniale anticipo, anche l’alienazione dell’uomo dal suo ambiente immediato alla quale Marc Augé fa riferimento in Nonluoghi, con il discorso sui tre decentramenti e sui tre eccessi.
A partire dalla caduta dei regimi comunisti nel 1989 il tempo ha subito un’accelerazione spaventosa, un cambiamento di scala tale da renderci difficile il confronto con la storia. E la domanda è, se con la globalizzazione il tempo e lo spazio si sono dilatati o si sono contratti. Se la storia si è fermata, se la formula che coniuga economia di mercato e democrazia rappresentativa è veramente definitiva.
Ma la globalizzazione ha moltiplicato tutto, e in questo ha paradossalmente moltiplicato anche i confini e gli spazi delimitati. Mentre il contesto in cui viviamo penetra anche nell’individualità, che è diversa da quella che era un tempo. C’è una coscienza planetaria, ma è una coscienza di fragilità, di paure per i destini del mondo, di minacce ecologiche. E dalla democrazia vera, quella dell’uguaglianza, siamo sempre più lontani.
Marc Augé parla anche di ricerca del senso, della possibilità di dare un senso alla propria vita nelle condizioni del mondo di adesso. Con un confronto tra il senso trascendente delle religioni monoteiste e il senso immanente delle religioni politeiste. Con un discorso sulla possibilità di darsi un senso per chi vive in condizioni esistenziali sempre più precarie.
Con una riflessione sullo stato generale della scienza, sempre più inserita nel contesto sociopoliticoeconomico che pervade tutto e sempre più ad esso asservita, e sul ruolo dell’arte e della letteratura, che nel loro cercare forme espressive nuove e adatte al nuovo mondo rischiano di allontanarsi sempre di più dalla possibilità di comunicare con la gente.
Verso la conclusione, Che fine ha fatto il futuro? ci presenta una riflessione interessante sulla nuova idea di individuo, che per il momento è in equilibrio precario. Tanto che la lotta contro le determinazioni basate sul sesso, che peraltro sono al centro dei simbolismi più diffusi in tutte le culture, benché sia una delle più rivoluzionarie porta stranamente coloro che si battono per i diritti degli omosessuali a una rivendicazione di istituzioni, come il matrimonio e la filiazione, palesemente molto conformiste.
Marc Augé chiude indicando una possibile via di salvezza in quella che egli chiama l’utopia dell’educazione. Se l’umanità capisse che il suo fine ultimo è la conoscenza, ci si dovrebbe impegnare per una sempre più vasta condivisione fra tutti del sapere, e questo porterebbe alla fine della violenza e dell’intolleranza. E forse anche alla condivisione dei beni materiali, che sarebbe certamente per tutti un modo di vivere più economico e comodo di quello attuale.
Come Nonluoghi, anche Che fine ha fatto il futuro? è un libro di piccolo formato e di poche pagine, 110 in tutto. Ma si scoprirà che è un libro enorme, perché letture successive daranno, come per Nonluoghi, successive aperture di prospettive diverse.
Arte e scienza
Però per un paio di cose un po’ ci sono rimasto male, alla fine. Cioè innanzitutto che, oltre a non aver preso in considerazione Hannah Arendt non solo per il suo discorso sulla globalizzazione ma anche per le sue osservazioni sull’idea della cosiddetta fine della storia, che la Arendt secondo me giustamente mette nel calderone generale della modernità, e in secondo luogo e soprattutto che Marc Augé citi Louis Althusser, Jacques Le Goff, Pierre Bourdieu, Jacques Derrida e si dimentichi di un altro che tante delle cose che dice il suo libro le aveva già dette nel 1967, Guy Débord in La società dello spettacolo, e di un altro che aveva detto tante altre cose ancora prima, quando sembrava che tutto andasse ancora così bene, nel 1964, Herbert Marcuse in L’uomo a una dimensione. Come, sempre nel fatidico 1964, i discorsi che ci fa Marc Augé sullo spazio e sul tempo e sull’arte e sulla scienza li aveva già fatti Marshall McLuhan in  Gli strumenti del comunicare. (bamborino)
A pag. 23 alla nota 8 c’è un libro francese che risulta tradotto in italiano nel 1998 e pubblicato in Francia nel 2003, a pag. 32 c’è un amoderare. C’è poi il problema di Michel de Certeau, che non si riesce a capire come si chiama. Perché nelle note è scritto De Certeau e nel testo de Certeau, e fin qui niente da dire. Ma nel testo si fa anche riferimento a lui come de Certeau e quando si scrive solo il cognome il de piccolo dovrebbe essere eliminato, Sade e Maupassant per fare due esempi. Allora per capire se il casino l’ha fatto Augé o il traduttore vado a vedere nella Wikipedia francese e c’è la stessa cosa, mentre nella Wikipedia inglese quando è scritto solo il cognome c’è Certeau. Boh.
La maggior parte della gente vive consumando metà della sua energia nel tentativo di proteggere una dignità che non ha mai posseduto. (Raymond Chandler, Il lungo addio)

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