martedì 30 ottobre 2012

Paolo Legrenzi


Paolo Legrenzi, Non occorre essere stupidi per fare sciocchezze. (il Mulino)

Ieri ho fatto una sciocchezza.
Mi sono fatto la doccia con cui comincio la giornata adoperando un pezzo di sapone nuovo, cubico. E non solo cubico, ma anche stagionato, quindi molto duro e con gli spigoli affilati, per cui mi sono ripetutamente colpito in malo modo la pelle.
Ora, io ho da tempo l’abitudine di lasciar lì per qualche settimana i saponi da bucato che adopero per lavarmi, ma uso saponi a parallelepipedo di basso costo, e oltretutto prima di usarli per lavarmi li adopero per lavare qualche indumento, magliette calze e mutande, in modo da ammorbidirne gli spigoli, e questo savon Marseille cubico di lusso me lo deve aver regalato qualche donna un bel po’ di tempo fa, per cui l’avevo dimenticato in un armadietto e l’ho ritrovato ieri, duro come una pietra, e anche se ci avevo lavato prima un paio di mutande per ingentilirlo, cosa volete che faccia un paio di mutande, il sapone aveva ancora gli spigoli piuttosto affilati.
Quindi la doccia mattutina mi ha messo di cattivo umore e mi sentivo antipatico irritabile e ipercritico e anche un po’ stronzo, e sento che  il libro di questo post ne farà le spese.
Cominciamo col dire che questi simpatici libretti io non capisco bene a cosa servano (o servono? o servino?), a partire dal titolo che mi domando se c’era bisogno di scrivere un libro per dire che anche se nella vita di tutti i giorni ti capita di fare delle sciocchezze non è detto che sei uno stupido patentato. Però forse un libretto così può servire che in qualche caso uno lo legge e con solo 10 euro di spesa e poca fatica e riflettere zero, poi si sente (o si senta?) tanto intelligente e intellettuale colto e raffinato dato che nel libro si parla anche di Musil e Robert Musil è sempre una gran figata.
Probabilmente un accenno a Carl von Clausewitz e al suo Della guerra non sarebbe stato così raffinatamente elegante, ma probabilmente la lettura di Clausewitz renderebbe superfluo questo libretto.
Comunque Musil non so, di suo ho letto solo I turbamenti del giovane Törless e L’uomo senza qualità e qualche racconto e una cosa sul nuoto a crawl e anche se mi sento di consigliare a tutti la lettura del suo breve saggio sulla carta moschicida in cui sostiene che le mosche vi si posano non per avidità ma per conformismo, perché ve ne sono già attaccate tante altre, la sua conferenza sulla stupidità me la sono fatta scappare, ma Allegro ma non troppo di Carlo Maria Cipolla l’ho letto e secondo me Cipolla della stupidità non dice le cose che sono riportate qui e comunque Allegro ma non troppo è un piccolo famosissimo capolavoro che non bisogna farsi mancare e quindi leggetevelo anche voi.
Cioè Cipolla non si è affatto occupato come dice Legrenzi dei comportamenti sciocchi. In realtà Cipolla ha prodotto un’opera a suo modo geniale e si è occupato della stupidità per il suo effetto nei rapporti interpersonali e da un punto di vista che mi sembra più giusto considerare sociologico e storico, inserendola nel quadro generale di quelli che si potrebbero definire gli stili di vita, tanto che la sua visione del problema arriva a considerare come il rapporto tra la stupidità e altre caratteristiche della specie umana possa variare in diverse epoche storiche. E proprio perché non è uno psicologo ma uno storico Carlo Maria Cipolla accetta come dice Paolo Legrenzi acriticamente gli assunti della psicologia ingenua, cioè del buon senso, che invece le scienze cognitive adesso vediamo.
Le scienze cognitive innanzitutto, grazie a una specialista del settore e così sappiamo che oltre agli specialisti del piede diabetico (sic) ci sono anche gli specialisti della distrazione, ci fanno tautologicamente sapere a pag. 27 con tanto di riferimento bibliografico, che la distrazione s’insinua nella nostra vita quando abbiamo la testa altrove.
Dato che qui non siamo a chiacchierare dal barbiere ma si tratta di una specialista che parla di scienze cognitive, sarebbe interessante sapere che cos’è mai questo altrove, ma mi posso accontentare del modo di dire senza tuttavia accontentarmi fino in fondo e faccio osservare che se secondo Paolo Legrenzi una persona può rimproverarsi una distrazione (pag. 28) ma non con il rammarico e il senso di colpa che caratterizza i casi in cui abbiamo fatto mega sciocchezze senza rendercene conto se non troppo tardi, io voglio sperare che una persona possa provare molto più rammarico e senso di colpa se per distrazione ha investito con la macchina una mamma che spingeva una carrozzina, di quanto non ne possa provare per aver fatto una delle mega sciocchezze di cui parla questo libro, che sono poi sostanzialmente sempre sciocchezze che riguardano il sesso.
Del resto sorprende un po’ che Paolo Legrenzi a proposito della distrazione citi una specialista del settore ma non faccia alcun riferimento agli studi in questo campo di Howard Egeth e Jan Theeuwes, che hanno mostrato come la distrazione sia un fatto fisiologico e probabilmente premiato dalla selezione nelle condizioni primitive del cacciatore-raccoglitore, trascuranza che sorprende ancora di più se teniamo presente che verso la fine del libretto si parla appunto della vita dell’uomo in queste epoche lontane. Ma probabilmente si tratta di una distrazione.
Poi il libretto ci spiega a pag. 31 che la mente umana non va indagata «isolata» ma inserita in un contesto, e ci piacerebbe sapere dove mai la si potrebbe trovare e cosa sarebbe mai, questa mente umana «isolata». Forse ci si vuol riferire al famoso Brain in a vat degli anglosassoni, ma questa è roba da fantascienza o meglio, come dice Antonio Damasio in L’errore di Cartesio, riguarda in realtà esperimenti filosofici.
E visto che stiamo parlando di scienze, e tenendo presente di nuovo che questo ameno libretto non è un purparlè da bar ma è stato scritto da un professore universitario quindi sicuramente con la massima attenzione e precisione scientifica, ed è stato pubblicato da un editore eccellente, ci domanderemo cosa sono le rigorose equazioni (sic) di cui a pag. 27, in cui si ipotizza la possibilità di comprendere come funziona la stupidità attraverso una semplice (sic) sottrazione di questa dall’intelligenza. Sottolineo sottrazione, una precisa espressione della matematica.
Ora nel mio piccolo io conosco l’esistenza di sistemi di cosiddetta misurazione della cosiddetta intelligenza, ma non mi risultano procedure testistiche di misurazione della stupidità, e quindi mi domando in cosa consisterebbe in questo caso l’eventuale sottrazione, e quale sarebbe l’unità di misura utilizzata per confrontare l’intelligenza con la stupidità.
Soprattutto, e qui mi richiamo alla teoria dei tipi logici di Russell e Whitehead che certamente un docente universitario che si occupa di queste cose non può non conoscere, soprattutto mi domando come si faccia a sottrarre la stupidità dall’intelligenza, cioè credo che sarebbe come voler sottrarre pere da mele, a meno di non affermare che l’intelligenza e la stupidità sono sempre la stessa identica cosa o fanno comunque parte della stessa classe, e mi piacerebbe sapere quale classe sarebbe mai, che credo però che in questo caso bisognerebbe scrivere un altro libretto, che ci porterebbe eventualmente a fare riferimento ad un eventuale concetto di uomo dotato di stupidità o di intelligenza, con possibilità di accorgersi a questo punto che l’intelligenza e la stupidità sono solo ipostasi o reificazioni di concetti immaginari e dai tipi logici di Russell e Whitehead si passerebbe a Pietro Ispano e via a fare sempre più casino.
A pag. 10 Paolo Legrenzi ci promette una distinzione tra errori e sciocchezze, ma poi la distinzione sembra sfuggirgli perché considera sciocchezza un errore scientifico come quello dei medici di Vienna che si rifiutarono di riconoscere il valore della scoperta dell’asepsi da parte di Ignatz Semmelweiss, che dato che consigliava di lavarsi le mani ci riporta ai miei guai di stamattina. Che tutta la faccenda di Semmelweiss sia non una sciocchezza ma uno dei casi più gravi di errore scientifico credo sia assodato da più di cent’anni, tanto che il caso di Semmelweiss è uno dei dieci casi presi in considerazione da Le dispute della medicina di Hall Hellman, e questo non è un post di storia della Medicina ma si potrebbe sperare che nessuno creda che i medici dell’antichità curavano tutto a lassativi e salassi semplicemente perché erano stupidi. E en passant segnalo che il caso di Semmelweiss e della scoperta dell’asepsi è stato la tesi di laurea del dottor Destouches altrimenti noto come Louis-Ferdinand Céline, che si può trovare pubblicata da Adelphi con il titolo Il dottor Semmelweiss e che è anche questo un libretto piccolo ma essendo roba di Céline è sempre un gran bel leggere.
Tuttavia, quanto alla occasionale scarsità (o scarsezza?) di precisione, non possiamo non tener conto dell’entusiasmo di Legrenzi per le opere del filosofo Maurizio Ferraris, di un cui scritto questo blog si è già occupato (vedi Persi in un vuoto di memoria), che nel suo Documentalità a pag. 238 definisce ideogrammi i numeri e i segni d’interpunzione. E infatti a pag. 109 Paolo Legrenzi parla di quando gli uomini primitivi avrebbero imparato a differire le gratificazioni per esempio, dice, non mangiando subito tutto il raccolto. Attenzione, non dice mangiando fino a che avevano voglia o fino a scoppiare, ma mangiando subito tutto il raccolto, che mi piacerebbe proprio vedere come facevano a mangiarsi subito tutto il raccolto.
Ma il vero problema del libro, come sempre quando c’è di mezzo la psicologia, è il sesso.
Si rimane abbastanza sorpresi di trovare a pag. 29 una approfondita disquisizione etimologoco-semantica sulla differenza tra minchione e mona, ma i motivi dell’importanza della posizione geografico-linguistica degli organi sessuali maschili e femminili rispetto al tema della stupidità diventeranno presto evidenti.
Infatti qual è in questo libro l’esempio del prototipo di sciocchezza, è la famosa storia Clinton - Lewinsky, e altri esempi sono dati dal caso Marrazzo, dalla faccenda di Silvio Berlusconi e Noemi Letizia e dalla storia del sindaco di Bologna, e anche la citazione da Philip Roth a pag. 115 riguarda una faccenda di sesso. Magari si poteva parlare dell’invasione dell’Unione Sovietica da parte dei tedeschi, ma questa probabilmente, contrariamente al caso dei medici di Vienna e dell’asepsi, dev’essere un errore e non una sciocchezza. Cioè, se si mantiene negli ambiti del sesso la psicologia in qualche modo riesce a darsi una specie di discutibile ordine, ma appena sconfina da lì perde la trebisonda e chiama sciocchezze gli errori scientifici. Che sarebbe poi come dire che i preti che dicevano che il Sole girava intorno alla Terra commettevano anche loro una sciocchezza e non un errore scientifico.
Che a questo punto chiedo scusa se faccio un piccolo inciso ma a me questa cosa che il Sole non gira intorno alla Terra non mi è mai andata giù e la fenomenologia con il discorso del mettere la realtà tra parentesi (vedi Humberto Maturana e Maurice Merleau-Ponty) ha dimostrato finalmente che avevano ragione i preti, e anche Marshall McLuhan in La galassia Gutenberg ha mostrato senza ombra di dubbio che tutte queste scemenze di astronomia bislacca derivano dalla mentalità scientifica generata dalla tipografia a caratteri mobili. Come la pretesa di misurare l’intelligenza e la stupidità e di farci le sottrazioni, che nasce dal ramismo.
Ma il fatto è che il sesso per la psicologia e per le scienze cognitive è sempre un problema e/o una cosa tutt’altro che chiara, tanto che Paolo Legrenzi a pag. 111 lo definisce rozzo e primitivo e gli attribuisce la capacità di offrire una gratificazione immediata dei piaceri e una sicura soddisfazione a breve termine.
Mentre per quel che mi riguarda, il sesso non l’ho mai rubricato tra le cose rozze della mia vita, né mi ricordo di aver mai ottenuto dal sesso alcuna gratificazione immediata né alcuna sicura soddisfazione a breve termine, anzi questo è un campo in cui mi sono sempre mosso con una certa attenzione e qualche volta mi sono dovuto sudare le mie otto o dieci camicie, anche se in linea di massima non mi posso lamentare.
Ma si vede che Paolo Legrenzi è stato più fortunato e/o più abile di me. Sperando che la gratificazione immediata dei piaceri e la sicura soddisfazione a breve termine non si riferiscano alla rapidità dei tempi in cui tutto l’ambaradan arriva alla fine.
Comunque bisogna riconoscere che il libretto ci sarà di stimolo a riflettere su tantissimi argomenti, in quanto verso il finale il testo si apre quasi a una sorta di tuttologia, dalla teoria della mente alla sociologia, e nella sociologia vediamo paragonare un alveare o formicaio alla società umana in quanto società, il formicaio e l’alveare, articolate e complesse, molto complesse, ci sono parecchi ruoli e parecchie articolazioni nel formicaio, eh sì, regina operaia fuco e combattente, quasi come nelle società umane, mancano solo gli impiegati i contadini i sacerdoti gli insegnanti e poco altro, e nel contesto di questo paragone ci troviamo un discorso sul fatto che non avrebbe senso per le formiche porsi il problema di cosa passi per la testa delle altre e neppure di mettersi nei panni altrui (pag. 93), cioè le formiche avrebbero la possibilità di pensare al pensiero delle altre formiche ma non ci pensano perché in una società come la loro con un’organizzazione pianificata da sempre questi pensieri non avrebbero senso, ecco, mi sono dimenticato che nella società delle api e delle formiche non ci sono gli psicologi ma io non insegno all’università e non posso sapere se questo farebbe una differenza.   E non credo che ci sia bisogno di tirar fuori Pierre Teilhard de Chardin per notare la differenza tra il ganglio cefalico di un insetto e il cervello di un vertebrato e tra l’organizzazione delle società degli insetti e delle società umane o anche solo delle scimmie, che all’università Teilhard de Chardin lo conoscono certo meglio che in un miserabile blog.
Anche se devo dire che sono d’accordo che non ha senso per le formiche mettersi nei panni altrui, in quanto le formiche come si sa i panni poverine non ce li hanno.
Ma in questo libretto troveremo inoltre interessanti commenti sull’andamento della finanza internazionale con riferimento agli asterischi gastronomici (si sono sempre chiamati stelle ma qui si chiamano asterischi, vedi sopra sulle occasionali imprecisioni) attribuiti dalla Guida Michelin.
Insomma potrei anche lasciar perdere il quant’altro a pag. 91, espressione che trovo più adatta ai reality show che ai libri di questo editore, ma alla fine non riesco a non dirmi che per quel che riguarda le sciocchezze questo libretto è una vera miniera, anzi lo si potrebbe considerare una specie di preziosissima enciclopedia se non addirittura una specie di corso comprensivo di esercitazioni sul campo, se per esempio si volesse considerare una sciocchezza il mettere la fellatio clintoniana sullo stesso piano della disputa scientifica sull’asepsi.
E forse in fondo il senso del libro è tutto nel titolo, quasi perfettamente autoreferenziale. (saposcat con contributi di herzenstube e allemanda)

Un poscritto sul nuoto a crawl. Che non sono mai riuscito a capire perché quasi tutti lo chiamino (o chiamano?) a “stile”, abbreviazione di stile libero, che sarebbe ora di capirla, che nelle competizioni stile libero vuol dire che ciascuno può nuotare come gli pare, come la maratona è una competizione a passo libero, cioè se uno vuole andare di marcia lo può fare, ma a correre si va più veloci, così come si va più veloci nuotando a crawl piuttosto che a farfalla o a rana, e allora nello stile libero fanno tutti il crawl.




Con la Stupidità e una buona Digestione l’uomo può affrontare molte cose. (Thomas Carlyle, Sartor Resartus)

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