venerdì 12 ottobre 2012

Raymond Carver, Mary Robison


Raymond Carver, Principianti. (Einaudi)

Mary Robison, Dimmi. (minimum fax)


Ce n’è da dire, su questo libro di Raymond Carver.
Innanzitutto che quando avevo letto Di cosa parliamo quando parliamo d’amore (d’ora in avanti Dcp, si fa anche qui come nel libro) avevo pensato che fosse un capolavoro, e non ho cambiato idea adesso che ho letto questo Principianti (d’ora in avanti P), che è la versione dello stesso testo come l’aveva scritto Carver prima che l’editor Gordon Lish glielo tagliasse.
E poi cos’è questa cosa in prefazione alle lettere di Carver, che sembra che Gordon Lish abbia fatto i tagli per lanciare il minimalismo sul mercato editoriale. Minimo è il superlativo assoluto di piccolo, ma non ho mai pensato che il minimalismo volesse dire cose brevi. O meglio, se diamo retta a questa versione, dell’invenzione del minimalismo da parte di Gordon Lish, e della costruzione del minimalismo attraverso il taglio di pezzi dei racconti, ci troviamo a riconoscere al minimalismo la caratteristica stilistica non tanto della brevità, quanto della brevità rispetto a qualcosa che poteva essere più lungo.
Cioè, un racconto di Anton Čechov o di Guy de Maupassant o di Ernest Hemingway o di Silvio D’Arzo non sarebbe potuto essere più lungo, ma un racconto di Raymond Carver o di Mary Robison o di Amy Hempel ebbene sì, era tutta roba che doveva essere più lunga ma invece sono stati tolti dei pezzi ed è diventata corta.
Caratteristica di stile che a parte l’essere abbastanza assurda, secondo me dovrebbe essere almeno un po’ sentita da parte del lettore, ma il lettore non se ne accorge, o si accorge di qualcosa ma non certo di questo.
Quello che invece secondo me sente il lettore, cioè quello che ho sentito io nella lettura dei minimalisti, cioè degli scrittori che mi pare siano minimalisti ma magari mi sbaglio, e comunque soprattutto in Carver, è che la loro minimalezza riguarda i dettagli. Cioè in Raymond Carver e negli altri minimalisti compaiono dei dettagli irrilevanti, che danno luce e colore a tutta la storia. Quando non sono addirittura la struttura portante, o per dir meglio il sostegno di senso esistenziale, di tutta la storia.
E quindi intendendo stile e forma come li intende Giörgy Lukács in Teoria del romanzo, cioè la forma è lo stile più il contenuto, l’essenza stilistica e formale del minimalismo, dai Nove racconti di Jerome D. Salinger in avanti, secondo me è questa, del dettaglio irrilevante che diventa corpo e anima di tutta la narrazione.
Per fare un esempio, in un racconto di Mary Robison, Guida per principianti all’uso della notte, (che gran bel titolo, anche così da solo secondo me è un capolavoro) in cui ad una storia che (come peraltro tutte le storie dei minimalisti e comunque di tutti i grandi scrittori) è sostanzialmente una storia di tragica solitudine, si giustappone, cioè ci sta attaccata addosso, la faccenda che la protagonista-io narrante, Lindy, ha la passione di osservare il cielo notturno con un telescopio: e la cosa non solo è un dettaglio irrilevante che poteva essere diverso e non cambiava niente, ma genera altri dettagli irrilevanti di cui tutta la storia è per così dire finemente spruzzata. Ma se anche senza telescopio la solitudine di Lindy sarebbe rimasta tale e quale, con il telescopio e tutti i dettagli irrilevanti che lo accompagnano, la solitudine di Lindy diventa quella particolare solitudine lì, che nell’essere più unica e particolare che mai, è così carica di vita da diventare una solitudine universale. In un racconto che è un capolavoro che si trova in una raccolta di racconti che è un capolavoro.
E un altro esempio è, in P, La vuoi vedere una cosa?, anche in questo racconto tutta la storia gira intorno a un fatto irrilevante, una caccia notturna di animaletti infestanti. O un altro racconto di P, Mirino, narrazione insensata di una serie di scatti fotografici fatti da un uomo che al posto delle mani ha degli uncini.
Il minimalismo secondo me è questo, tutto il bello e il brutto della vita colti nelle cose più piccole e meno importanti. Con una vena di assurdo che è la stessa vena di assurdo che c’è in tutta la vita, nelle nostre cose più importanti e in quelle che non contano niente, con la domanda se davvero le cose che ci sembra che non contino niente non siano poi, quando le ritroviamo nella memoria o ci stiamo in mezzo e ci fermiamo un attimo a guardarle, la domanda se davvero queste cose sono poco importanti o non sono il vero tessuto che tiene in piedi tutto senza che ce ne accorgiamo.
E mi viene in mente una riflessione di Marc Augé, che dice che forse oggi gli artisti e gli scrittori si trovano condannati a ricercare la bellezza dei nonluoghi cercando per certi versi di ritrovare il carattere enigmatico degli oggetti, delle cose disconnesse da ogni esegesi o istruzione per l’uso. 
Tenendo presente anche George Steiner e il suo fondamentale La fuga dalla parola (vedi il post su Pamela di Samuel Richardson), che potrebbe darci una ragione per quella che secondo me è l’altra caratteristica fondamentale dei minimalisti, cioè il silenzio sui sentimenti e le emozioni, che nelle loro opere non sono assenti, anzi arrivano fortissimi al lettore, ma non vengono detti. Come se il linguaggio avesse perduto la possibilità di parlarne, come se oramai emozioni e sentimenti e tutto quello che c’è di fondamentale nell’esistenza fosse ridotto al silenzio dalla violenza del continuo indifferenziato rumore di fondo, come se si fosse perso nella chiacchiera incessante delle televisione e dei giornali. Emozioni e sentimenti che si possono esprimere solo estraendo da un mondo tutto uguale la bellezza muta di dettagli ai quali nessuno bada più.
Forse la cosa diversa, in questi racconti di P, è che ogni tanto compaiono per esteso i pensieri dei personaggi, come dei piccoli flussi di coscienza.
Ma rimane il fatto che Dcp e P sono capolavori, grandissimi capolavori tutti e due, e oltretutto non sostanzialmente differenti l’uno dall’altro. Cioè se vogliamo metterla su questo piano e consideriamo come essenza stilistica e formale il dettaglio irrilevante e il silenzio dei sentimenti, Dcp è minimalismo e anche P è minimalismo. E allora si apre la voragine della domanda, cosa c’era mai da modificare in questi racconti.
Bisognerebbe saperne di più sulla maniera di ragionare degli americani. Ma a questo punto, sulle stranezze dell’editoria, mi viene in mente una piccola polemica che avevo avuto tempo fa attraverso i commenti in un blog con la traduttrice di Easter Parade di Richard Yates. Il titolo originale è The Easter Parade e io trovavo che non avesse senso innanzitutto non averlo tradotto La parata di Pasqua e soprattutto aver tolto l’articolo. Mi era stato risposto che era una questione di marketing. Cioè agli italiani non gli andrebbe bene il titolo tradotto in italiano, ma gli va bene il titolo originale però avendo essi un’avversione particolarissima per gli articoli, allora gli va bene ma senza l’articolo. Tant’è vero che anche il titolo di A walk on the wild side di Nelson Algren era stato tradotto Walk on the wild side, che oltretutto può essere preso per un imperativo. Secondo me minimum fax ha solo meriti, meriti grandissimi per tutta la roba bellissima che ci fa leggere, ma mi viene il dubbio che nella testa di quelli che si occupano di marketing l’idea di rivolgersi sostanzialmente a una massa di imbecilli sia piuttosto ben radicata.
Che poi è anche vero, che di imbecilli ce n’è una gran massa, ma non credo che sia così vero per la clientela di minimum fax. Così come credo che dato un numero di partenza di imbecilli abbastanza elevato, quelli che si occupano di marketing abbiano dato la loro buona mano d’aiuto per aumentarlo il più possibile, così il marketing diventava ancora più efficace, sempre che essi stessi non siano tra gli elementi più illustri della categoria in questione, e per questo ne conoscano a fondo le particolari necessità. Cioè alla fine credo che non siano in pochi a pensarla come me, che è la stupidità della pubblicità e del marketing a rendere sempre più stupida la gente, e non è la gente ad essere stupida in partenza e a chiedere pubblicità e marketing sempre più stupidi.
Restano, per quel che riguarda il rapporto tra P e Dcp, due grandi misteri, tutti e due nello stesso racconto, che è l’eponimo in entrambe le raccolte.
Il primo mistero è che il racconto Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, nella prima versione (cioè la versione pubblicata per prima) finisce con quella cosa meravigliosa sul rumore umano che fanno tutti, lì nella stanza che è diventata buia, e questa cosa nella seconda versione, in P dove il racconto s’intitola Principanti, sparisce completamente. Per me questa era stata una delle cose più belle che avevo trovato in Carver, e due parole per spiegare di chi era stato opera il cambiamento e perché era stato fatto, forse valeva la pena di dirle.  
C’è poi il mistero delle cinture di sicurezza. In P, nel racconto Principianti, i due vecchietti vittime dell’incidente sono stati investiti mentre si trovavano nel loro camper, ma sono stati salvati dalle cinture di sicurezza. Che va benissimo. E allora uno che ha letto Carver solo in italiano pensa ma guarda te, anche la scemenza della roulotte è colpa di Gordon Lish. Perché bisogna sapere che il traduttore di P è lo stesso di Dcp, e in Dcp, nel racconto eponimo, c’è questa storia del ragazzotto ubriaco che “con il furgoncino del padre aveva sfondato la roulotte dove c’erano questi due vecchietti”. Che detto così, uno pensa che i due vecchietti nella roulotte ci vivono, come capita in America. Però allora non si capisce come mai i vecchietti si fossero allacciati le cinture di sicurezza. Ma il mistero si poteva risolvere leggendo la versione originale, dove la roulotte è un camper (che in italiano e in inglese si dice uguale, e chissà cosa gli è venuto in mente al traduttore di trasformarlo in una roulotte) e allora si capisce che i due vecchietti avessero le cinture di sicurezza, dato che per l’appunto non erano fermi nella roulotte che si bevevano una birra e guardavano le tele ma andavano in giro col camper. E allora la colpa non è di Gordon Lish ma di Riccardo Duranti, che nella traduzione per minimum fax ha magicamente trasformato il camper in una roulotte. Forse anche questo per motivi di marketing, che lo sanno tutti che i racconti dove si parla di roulotte vendono meglio di quelli dove si parla di camper.
E per chiudere, secondo me il racconto Un’altra cosa è molto più bello nella versione Dcp che in P.

Nel libro di Mary Robison quello che ho detto di quello che secondo me è il minimalismo arriva al massimo. La narrazione si polverizza in dettagli quasi microscopici, per fare un altro esempio c’è una macchina che parcheggia e chi la guarda osserva che quando si spegne il motore i tergicristalli si fermano. O c’è una trottola luminosa che gira dentro uno zainetto.
E i racconti sono in un certo senso tutti immersi in questo pulviscolo colorato e luminoso di cose piccolissime, che portano lo stile di Mary Robison a un livello che secondo me è quello della prosa poetica se non della poesia vera e propria. Con dappertutto una nota emotiva sempre tesa delicatamente tra una piccola allegria e una piccola disperazione, una dentro l’altra e sempre con la possibilità di una felicità leggera, leggera e transitoria anzi più che transitoria, evanescente. Una felicità piccolissima e che dura un attimo, ma è tutto quello che abbiamo e dobbiamo imparare a vederla e a capirla. (bamborino)


Nell’Einaudi c’è un riuscito invece di riuscita a pag.25, un mah che ma secondo me andava meglio a pag.110, un apicultore a pag. 251 che probabilmente è un superstite adoratore del dio Api, a pag. 233 ci sono i Baschi Verdi, che in inglese è Berrets e in italiano si sono sempre chiamati i Berretti Verdi, fin dai tempi della guerra del Vietnam, e poi c’è questa stranezza dell’apostrofo prima della parola affanculo cioè, ma che vada ‘affanculo, che non capisco che cosa elide quell’apostrofo. Ma a parte questo, evviva per un famigliare a pag. 19 e soprattutto evviva evviva per la giardinetta invece della station wagon a pag. 181.




I momenti migliori sono sempre quelli piccoli. (Romain Gary, L’angoscia del re Salomone)

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