mercoledì 10 aprile 2013

Maryanne Wolf


Maryanne Wolf, Proust e il calamaro. (Vita e Pensiero)

Non ci pensiamo mai, ma noi non siamo fatti per leggere.
Se il linguaggio è una delle nostre facoltà biologiche, così non è per la scrittura e per la lettura, che sono invenzioni, cioè tecnologie.
Questo libro ci porta nella storia dell’origine della scrittura e della scrittura alfabetica, ci spiega le differenze tra i diversi tipi di scrittura e soprattutto ci spiega come sono fatte dal punto di vista concettuale le scritture diverse dalla nostra e ci spiega che differenze comportano le differenti scritture nell’assetto neurofisiologico di chi legge e scrive, cioè nei rapporti interni tra diverse strutture cerebrali. Così che in questi diversi rapporti tra le strutture cerebrali, determinati dalle diverse modalità di scrittura ed ora evidenziati dalle nuove tecniche di visualizzazione cerebrale, si possono comprendere le diverse modalità di pensiero delle culture dotate di diversi tipi di scrittura.
Come dire che ci mostra un punto essenziale della differenza tra culture e mentalità, e ci mostra l’importanza di fattori culturali acquisiti nel determinare la struttura e il funzionamento delle parti del nostro cervello che danno origine al linguaggio e al pensiero. Ci mostra il momento in cui i Greci hanno cominciato a scrivere, ci presenta le obiezioni di Socrate all’invenzione dell’alfabeto e le problematiche della Grecia nell’epoca del passaggio da una cultura orale a una cultura scritta, vedi Eric Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura.
Ci fa comprendere in profondità l’immensa portata dell’ampliamento di esperienza esistenziale e di conoscenza di noi stessi che ci viene fornito dalla lettura di narrativa, mostra le limitazioni sociali e personali che si legano a una scarsa dimestichezza con la parola scritta, in quanto non incontrare certe forme della sintassi vuol dire capire meno i nessi tra certi eventi di un racconto, e non conoscere le forme della narrazione vuol dire essere meno in grado di dedurre e prevedere anche nella realtà, in cui i nessi causali non sono quelli della fisica né della logica matematica. Matematica che, come diceva Ludwig Wittgenstein nel Tractatus logico-philosophicus, non è una forma di pensiero.
Cioè per fare un esempio, se ho un oggetto in mano e apro le dita facendo cadere l’oggetto, e chiedo perché l’oggetto è caduto, quasi tutti rispondono che è caduto a causa della forza di gravità, ma la forza di gravità descrive un contesto e non un rapporto causa-effetto, e in realtà il motivo della caduta dell’oggetto è che io ho aperto le dita, e poi ci si può domandare perché ho aperto le dita, e via di seguito, ricorsivamente.
Proust e il calamaro ci mostra i diversi livelli di profondità che possiamo raggiungere, nel corso della vita, nella comprensione e nell’interpretazione di un testo scritto, dalla condizione che Maryanne Wolf chiama di lettore decodificante a quella di lettore esperto o trascendentale, che legge andando continuamente al di là del testo.
Poi ci spiega come è fatto il nostro cervello e quali delle sue parti vengono utilizzate per la lettura e come queste parti si modificano appunto a causa della lettura, che cambia i rapporti interni tra diverse strutture cerebrali e ci mostra quello che succede nel cervello mentre si legge.
Con una sfilza di bellissime e interessantissime cose sulle meraviglie di quella meravigliosa e apparentemente semplice ma incasinatissima lingua che è l’inglese.
E con questo Maryanne Wolf apre un discorso molto esteso e approfondito sul cambiamento che la lettura apporta alla nostra struttura di pensiero, che si collega anche al modo in cui il cervello di chi è affetto da una delle diverse forme di dislessia cerca di adattarsi alla lettura.
Cioè il nostro modo di vedere il mondo e il nostro modo di pensare non dipendono dalla realtà ma dalla struttura mentale che organizza la nostra percezione e il nostro pensiero, che è profondamente diversa per chi vive in una cultura orale e per chi vive in una cultura scritta. E che potrebbe essere profondamente diversa per un lettore decodificante e per un lettore esperto. Con ciò riferendosi apertamente agli studi di Walter Ong, vedi Oralità e scrittura, e di Eric Havelock.
E un altro importante spunto di riflessione che può venire da questo libro è che se la coscienza in quanto coscienza di qualcosa è un processo intenzionale, ricordando che l’intenzionalità secondo il Dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano è il riferimento di qualsiasi atto umano a un oggetto diverso da sé e ricordando anche quanto detto nel post su Il lato oscuro della Rete di Nicholas Carr, è possibile che la coscienza come consapevolezza di sé e del mondo di un lettore esperto sia ben più vasta e approfondita di quella di un lettore decodificante, proprio per la possibilità e la capacità del lettore esperto di essere continuamente consapevole di sé rispetto a diversi elementi della realtà, e rispetto a diversi possibili punti di vista.
In più, quel che Maryanne Wolf dice della lingua inglese mi fa venire in mente di lasciarmi andare a dire una scemenza che forse non è una scemenza, che se è vero che come dice Humberto Maturana in Autocoscienza e realtà noi, in quanto esseri umani, esistiamo nel linguaggio e come come dice Walter Ong in Oralità e scrittura citando Derrick de Kerckhove l’alfabeto fonetico a vocali indipendenti permise ai Greci di sviluppare il pensiero filosofico analitico caratteristico dell’Occidente, e se ha un valore la teoria di Harold Innis esposta in Empire and Communications, che non siano i mezzi di produzione, che dipendono dai mezzi di comunicazione e dalle tecnologie, a muovere la Storia, ma i mezzi di comunicazione e le tecnologie, si può avanzare l’ipotesi che il predominio mondiale della lingua inglese non sia dovuto al predominio economico e militare mondiale degli anglofoni, ma che sia vero il contrario, cioè che una lingua come l’inglese, che ha pochissime parole il cui significato è fisso e indipendente dal contesto, può aver fatto sì che chi la parla ed è quindi abituato dalla nascita a pensare più alla variabilità dei contesti che non alla fissità artificiosa dei significati, vedi The Meaning of Meaning di C. K. Ogden e I. A. Richards, si possa trovare avvantaggiato nelle richieste di elasticità e di mobilità contestuale dell’economia capitalistica globalizzata e dell’Epoca Elettrica che cominciò nel 1844 con l’invenzione del telegrafo. Ed è a partire dall’inizio della globalizzazione (vedi Niall Ferguson, Ascesa e declino del denaro) che l’inglese ha preso il sopravvento sul francese.
Maryanne Wolf dà un’occhiata anche al futuro, e si domanda cosa succederà ai giovani che vivono sempre di più nei balzi degli ipertesti, che limitano la visuale interiore a quello che si riesce a vedere e sentire subito e senza difficoltà.
Ai suoi tempi, quando aveva temuto che la scrittura rendesse gli uomini meri acquisitori di informazioni, Socrate si era sbagliato. Ma forse adesso lo scenario sta diventando questo, e se teniamo presente la possibilità della formazione di un nuovo monopolio della conoscenza (vedi ancora Harold Innis), forse possiamo prevedere sviluppi sociali abbastanza inquietanti. (bamborino)

A pag. 24 troviamo una capsula Petri, che si è sempre chiamata capsula di Petri, a pag. 94 c’è un pasticcio poco chiaro, a pag. 159 manca un punto, a pag. 161 c’è situato invece di situata e a pag. 217 c’è un arrivò di.
A parte questi pochi refusi, a pag. 102 c’è un bellissimo eventualmente che non si capisce cosa c’entra, ma se il traduttore si fosse degnato di guardare in un dizionario, bastava anche l’Oxford Mini, avrebbe scoperto che eventually è uno dei più famosi cosiddetti falsi amici, e non vuol dire eventualmente ma alla fine, e sottolineo che io non mi guadagno da vivere facendo traduzioni. Soprattutto, la cura editoriale è stata così vasta ed approfondita da farsi sfuggire che l’Orality and Literacy di Walter Ong è stato da tempo tradotto in italiano, Oralità e scrittura.




Siamo assurdamente assuefatti al miracolo che qualche segno scritto possa racchiudere immagini immortali, intrecci di pensiero, mondi nuovi con persone vive che parlano, piangono, ridono.  (Vladimir Nabokov, Fuoco pallido)

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